Chiariamo subito un punto, così poi non continuo a rimarcarlo durante tutta durata della recensione:
Pete Morten è un musicista coi controcazzi. L'abbiamo apprezzato coi Threshold, nei live prima e sul nuovo disco "March of Progress" poi, lo possiamo sicuramente appurare dando un ascolto a
"The Interpreter", primo album della sua creatura targata
My Soliloquy.
E quando parlo di "sua creatura" non parlo a vanvera: su "The Interpreter" infatti Pete Morten fa TUTTO da solo. Ok, quasi tutto, dato che la batteria è affidata alle buone mani di Damon Roots, ma voce, chitarre, basso e tastiere sono tutte appannaggio del mastermind di questo progetto, che in una recente intervista, interrogato a riguardo, ha dichiarato: "I cambi di line-up sono avvenuti perchè non tutti volevano portare i My Soliloquy ad un livello superiore. Io si.".
E basta davvero un ascolto a questo disco, anche distratto, per rendersi conto che Morten ha tutte le ragioni del mondo e che questo fantomatico "livello superiore" è stato ampiamente raggiunto, tutto con le proprie forze.
Il paragone coi Threshold potrebbe venire spontaneo, ma ascoltando più attentamente il disco ci si rende conto che il prog qui proposto è meno arzigogolato, più arioso e ricco di tastiere, più marcatamente rock se vogliamo. Certo ci sono momenti riconducibili alla band più famosa di Morten, come la splendida opener "
Ascension Pending", ma a far da contraltare troviamo momenti meno duri e addirittura danzerecci, ad esempio nell'intro della terza traccia "
Corrosive De-Emphasis", nella quale Morten riversa quel pizzico di follia proprio del prog. Davvero degna di nota è anche la semi-conclusiva "
Inner Circles", nella quale ancora una volta le tastiere la fanno da padrone, così come la conclusiva "
Star", prog-ballad dai ritmi lenti e dalle atmosfere eteree, molto seventies.
E se dal punto di vista tecnico-musicale ci potevamo aspettare cotanta bravura, da quello vocale il buon Pete si dimostra una piacevolissima sorpresa, regalandoci una voce spesso al limite del falsetto, che mi ha ricordato in più di un'occasione quella di John Arch. E pensandoci bene il paragone con Arch e il suo periodo nei Fates Warning regge anche musicalmente, così come potrebbe reggere quello con gli Shadow Gallery di "Tyranny".
Un debutto coi fiocchi quindi quello dei
My Soliloquy, sudato e fortemente voluto da Pete Morten e giusto epilogo di una carriera lunga 10 anni. E 10 anni di rincorsa danno sicuramente una bella spinta e il balzo spiccato dal polistrumentista inglese è sicuramente uno di quelli destinato a segnare una bella misura.
Quoth the Raven, Nevermore..
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