Sono israeliani, i
Red Rose, ma non li avete potuti vedere sul palco dell'Ariston di Sanremo
forse perché non possiedono l’avvenenza e la notorietà della
top model Bar Refaeli (impegnata anche nell’inedito ruolo di “batterista” … nonostante la prestazione da stendimento del classico “velo pietoso”, sono certo che moltissimi la accoglierebbero volentieri nel proprio gruppo … pizzi e trasparenze comprese …) o perché non sono
cool come Asaf Avidan.
Sono convinto, però, che, almeno ai più attenti “indagatori delle cose musicali”, il nome (
banalotto, invero …) e il valore della band in questione non sarà comunque sfuggito, grazie ad un piacevole esordio del 2011 su etichetta Bakerteam Records, titolo “Live the life you've imagined”, interessante miscela di
hard melodico,
heavy e
pomp rock.
Patrocinato stavolta dalla Scarlet Records e con la conferma in cabina di “regia” del valente Tommy Hansen, il nuovo “On the cusp of change” si muove, in sostanza, sulla medesima lunghezza del suo predecessore, non deludendo chi lo aveva gradito ed esibendo i mezzi adeguati per farsi apprezzare da tutti gli estimatori di Ten, Pretty Maids e Royal Hunt, tanto per fornire qualche indicazione orientativa di massima.
La presenza di Matan Shmuely degli Orphaned Land in veste di ospite dietro ai tamburi garantisce la necessaria competenza ritmica (e un pizzico di
appeal supplementare, magari …) ad una
band piuttosto solida tecnicamente e discretamente efficace nella stesura dei suoi pezzi, che tuttavia avrebbero bisogno di maggiore personalità e di un superiore coefficiente di “penetrazione” per conquistare l’astante in maniera assoluta.
La voce squillante di Leve Laiter (mi dicono che sia stata paragonata a quella del "divino" Michael Sweet … beh, non arriverei a “tanto”, anche se qualche vaga assonanza tra le due laringi, in effetti, c’è …) e un’encomiabile intensità interpretativa globale rendono l’impegno artistico dei nostri un ascolto sicuramente molto gradevole, fatto di passaggi chiave come “When roses faded” (dieci minuti abbondanti di notevole suggestione, tra grinta, malinconia e trionfale magniloquenza), “Chasing freedom” (dalla melodia frizzante ed evocativa) e “Don't believe these tales” (un intrigante concentrato d’influenze, aromatizzato da profumi orientaleggianti), e che alla fine non dispiace neanche nelle variazioni di “King of the local crowd” (una specie di Deep Purple
meets Toto), nell’enfasi di "Original sin” e "This bitter world” (graziose dissertazioni sui terreni accidentati del
prog-metal sinfonico) e nelle romanticherie sognanti di “Alone in the night” e "Seize the day”, materiale leggermente più dozzinale e stucchevole e non per questo tale da essere irrimediabilmente condannato all’onta dello
skip.
L’impressione conclusiva è che i Red Rose non abbiano ancora raggiunto la piena “maturità” espressiva e che i margini di miglioramento siano abbastanza consistenti … per ora, un altro buon disco da lodare anche per il suo attraente
artwork, appannaggio della Sledgehammer Graphix di Jobert Mello, nota per aver curato le elaborazioni grafiche dei lavori di Primal Fear, Sabaton e Benedictum.
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