A solo un anno di distanza dal precedente "Undead", i
Six Feet Under di
Chris Barnes tornano sul mercato con un nuovo album a titolo
"Unborn". Nonostante il nome di Barnes sia leggendario per i suoi importanti trascorsi nei Cannibal Corpse, la sua creatura non ha mai influito sulle sorti del death metal e non ha lasciato un segno importante nella storia del genere, ed anche questo nuovo "Unborn" rispetta questa "tradizione": per il loro tredicesimo album in studio, i Six Feet Under ci propongono ancora una volta un death metal ben lontano dagli estremismi e dai tecnicismi e dove la ricerca del groove è il vero obiettivo della band. Le canzoni sono brevi e asciugate di qualsiasi orpello, assoli compresi (nella maggior parte dei casi), per andare dritte al punto ed effettivamente le varie "Prophecy", "Fragment", "Decapitate" o "Incision" risultano sufficientemente efficaci e invitano a scuotere la capoccia. Peccato che si tratti di pochi sporadici episodi all'interno di una tracklist dominata dalla mediocrità di pezzi come "Neuro Osmosis", "Inferno", "Zombie Blood Curse" o "Psychosis". Non basta nemmeno il growl di Barnes, che questa volta gentilmente ci risparmia i suoi acuti da pterodattilo, a risollevare le sorti di un disco che, per l'ennesima volta nella carriera dei Six Feet Under, non riesce ad andare oltre la soglia della mediocrità.
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