I
Silent Grave suonano
gothic-metal e hanno una cantante che agisce (con dovizia) indugiando spesso in un approccio da “soprano”.
Se ci si fermasse alle “apparenze” e ci si affidasse ai “pregiudizi”, si potrebbe pensare a un gruppo poco “creativo”, che si affida ad un
trend ancora assai diffuso per cercare di conquistare una qualche forma di visibilità.
In realtà, i campani, pur confermando la loro appartenenza di “genere”, non danno praticamente mai l’impressione di subire oltremodo i suoi dogmi fondamentali, evitando l’uso di tastiere enfatiche e
growling e cercando una “propria” via nelle pieghe di una formula ampiamente consolidata e assodata.
E poi scrivono le loro canzoni con un notevole gusto espressivo, dotandole di una vocazione tra lo
spleen, l’
esotico e il
folk alquanto suggestiva, capace di evocare solo in “lontananza” Nightwish, Epica ed Evanescence, ed aggiungendo alle suggestioni uditive anche vaghi bagliori di My Dying Bride e Orphaned Land, per un quadro sonoro complessivo piuttosto coinvolgente e convincente.
La presenza del violino di Mariacarmela Li Pizzi fornisce un contributo importante in fatto di fascino arcano e tuttavia non meno decisiva appare la chitarra di Alessandro Salza, artefice di un efficace
trait d’union tra melodia, aggressività e poesia.
Sottolineata la valente prova della sezione ritmica, non rimane che tornare sul ruolo “frontale” di ogni formazione musicale, forse addirittura più decisivo quando si tratta di questi lidi stilistici: Giusy Tiso affronta con sufficiente temperamento l’impegno e piace per timbro, capacità interpretative e perché non scade mai in una prestazione forzatamente evocativa o ampollosamente teatrale.
“Silkworm”, così, offre quattro pezzi riusciti e attraenti, oscillando tra la maggiore immediatezza di “Wasteland”, il
groove malinconico e greve di “Theatre of tragedy”, le fluttuazioni tenebrose di “The prisoner” (probabilmente il momento globalmente più debole, eppure contraddistinto da una vibrante seconda parte strumentale) e le digressioni
celtic-goth-doom di “Sinestesy”, un gioiellino dal
pathos tangibile e dal consistente carisma, degno senza dubbio alcuno di futuri approfondimenti.
I Silent Grave, in conclusione, meritano una
chance … prima di tutto d’ascolto e poi magari di un patrocinio discografico che possa contribuire a far maturare ulteriormente una personalità già ben indirizzata.
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