C’era una volta un sound pesante, saturo, lento e maestoso, ma, allo stesso tempo, capace di evocare nella mente dell’ascoltatore spazi infiniti, siderali, desertici ed eterei. C’erano una volta gli
YOB, band seminale dello sludge-doom, artefice di una serie di capolavori che, se non hanno fatto la storia del genere, l’hanno quanto meno indirizzata e condizionata verso una ben precisa direzione.
Ora, invece, ci sono i
Norska, formazione originaria dell’Oregon, in cui milita Aaron Rieseberg, già bassista degli
YOB, per l’appunto, il quale sembra quasi essersi fatto latore di un elemento di continuità tra la vecchia leggenda e la nuova promessa.
La sensazione che si ha ad un primo ascolto è quella, piacevole, di chi si trova a gustare nuovamente un bel ricordo. I feedback e le prime note dell’opener “Amnesia” riportano alla mente le atmosfere soffocanti e il riffing cadenzato che erano elementi tipici dell’ex band di Rieseberg. Tuttavia basta inoltrarsi nel brano e subito si scopre che non si è di fronte a un semplice esercizio di ricopiatura, i
Norska non vogliono né citare, né attuare una poco probabile “operazione-nostalgia”; vogliono invece lasciare il segno e stabilire un’identità propria, partendo sì dalla dimostrazione d’aver imparato a menadito la lezione impartita dagli
YOB, ma ingrandendo questo concetto e rielaborandolo personalmente tramite strutture che si alternano tra una tendenza alla progressività, la melodia inattesa ma mai fuori contesto e un costante, spiccato gusto per il down-tempo e la rarefazione del tessuto sonoro.
In “Nobody One Knows” trova sfogo la parte più cupa e claustrofobica del combo statunitense. Le chitarre intrecciano un fraseggio fatto di dissonanze che conduce alla parte centrale del brano, lenta, sulfurea e disperata nel suo incedere. La voce di Jim Lowder si sdoppia, inabissandosi in parti growl che rendono, se possibile, ancora più teso il pezzo.
Si arriva alla lunga “They Mostly Come at Night”, canzone complessa e vero picco dell’album, carta d’identità attuale del gruppo. I primi minuti compongono poco a poco un riff portante che stupisce per la sua melodicità e ci presenta un lato dei
Norska che, fino a questo punto del disco, era stato solo tradito in parte da una presenza chitarristica accentuata ma non protagonista e che qui, invece, esplode, regalando una gradita sorpresa all’ascoltatore. Segue una sezione tipicamente sludge, con un rallentamento che non ha nulla da invidiare agli
Electric Wizard di
Let Us Prey o a certe situazioni dei
Grief. Dopo aver trovato spazio anche per un break centrale pulito e un nuovo sviluppo del riff precedente, i nostri riprendono a crescere di dinamica e terminano con una ripresa circolare del primo fraseggio che aveva aperto il brano.
“Cholera” ristabilisce l’album su binari pesanti e serrati, aprendo tuttavia a una seconda sezione più melodica che proietta il brano verso una chiusura che, dapprima, alza il ritmo della composizione, per poi declinare in un down-tempo che quasi non risolve la struttura lasciandola sospesa.
L’ultima traccia, “Two Coins for the Ferryman”, chiude in bellezza il lungo EP, proponendo una parte introduttiva pulita e sofferta. Da questa si costruisce una struttura solida e monolitica che, gradualmente, si fa strada verso una sezione caratterizzata da interruzioni brusche e da una successiva ripresa, crescendo d’intensità e ritmo con l’approssimarsi della fine del pezzo, senza per questo mai rinunciare ad una granitica pasta sonora.
Resta l’impressione di un album estremamente ben congegnato, che colpisce nel segno e raggiunge l’obiettivo di gettare delle solide fondamenta per un gruppo che, pur essendo alla prima uscita ufficiale, sicuramente non è composto da sprovveduti. Al contrario, i
Norska riescono a mettere a frutto un esordio che poteva addirittura sembrare un mezzo tributo agli
YOB da un primo, distratto ascolto e che, invece, restituisce l’immagine di uno sludge-doom ricco di influenze, citazioni e originalità.
Unica pecca, anche se non gravissima, la produzione della batteria, un po’ poco incisiva e con una cassa davvero poco azzeccata per le necessità del genere. Ma, di fronte ad un lavoro così efficace e a delle canzoni che presentano così bene il songwriting della band, non si può davvero non chiudere un occhio e aprire bene le orecchie.