Mettere da parte gli eventuali pregiudizi, cari
AOR addicted “all’ascolto”, è la prima delle condizioni necessarie ad affrontare correttamente questo “Too many reasons”, ritorno sulla lunga distanza per i
Player, anticipato dall’assaggio in forma di
3-tks digitale dell’anno scorso, commentato dal sottoscritto su queste stesse colonne.
La presenza in
line-up di una
star televisiva di enorme popolarità come Ronn Moss, infatti, potrebbe far apparire l’intera operazione una sorta di
divertissement (alla stregua dei Dogstar di Keanu Reeves o delle formazioni vagamente
dopolavoristiche di Kevin Kostner e Russell Crowe …), oppure, al limite, se siete smaliziati appassionati del settore e conoscete il valore e la storia della
band, di una rimpatriata per ricordare i “bei tempi”, quando si era giovani e spensierati.
Beh, alla prova dei fatti, se anche si trattasse di un semplice diversivo, si può tranquillamente parlare di “svago costruttivo”, dacché il disco in questione ci consegna intatte tutte le prerogative “classiche” del gruppo americano, tentando pure un piccolo processo di “aggiornamento”, magari non particolarmente “determinante” ai fini commerciali, e comunque apprezzabile per come aggiunge all’impasto sonoro un pizzico di freschezza evitando un deleterio effetto “snaturante”.
I Player e il loro vero “capitano” Peter Beckett, in ogni caso, rimangono essenzialmente un gruppo che piacerà in primo luogo agli estimatori del versante più
soft ed
easy listening del
rock adulto statunitense (quindi Ambrosia, Chicago, Air Supply, Steely Dan e Mister Mister, tanto per capirci …), quello che ha avuto il suo periodo aureo tra la fine dei
seventies e gli
eighties e che oggi, malgrado le varie benevolenze
vintage, può apparire, specialmente agli occhi di qualche
rockofilo modaiolo e superficiale, una materia oltremodo datata e vetusta.
Personalmente adoro questi suoni delicati ed eleganti, curatissimi dal punto di vista degli arrangiamenti e delle melodie, soprattutto quando centrano, come nella maggioranza dei brani presenti nell’albo in esame, il bersaglio del soggiogamento emotivo scongiurando al contempo la stucchevolezza, rischio primario del genere.
La vivacità di “Man on fire”, ma anche la calibrata sensibilità di “Precious” e “I will”, le pulsazioni di “Tell me” e il clima soffuso e notturno di “The sins of yesterday” vi culleranno i sensi con modalità certamente poco rivoluzionarie eppure di notevole efficacia, almeno se siete alla ricerca di atmosfere accattivanti, vellutate e raffinate.
Come “dovreste” sapere, considero “My addiction” solo discreta e “Too many reasons” una delizia per “palati fini”, e la stessa sensazione procurata da quest’ultima mi viene fornita dalle languidezze tra Waite e Bolton di “To the extreme” e “The words you say”, mentre tocca a “Life in color” riaccendere di brio le suggestioni uditive e alla nuova versione dell’
hit “Baby come back” (tralasciando, quindi, la maggiore leziosità di “A part of me” e “Nothin' like you”, assieme all’enfasi ridondante di “Kites”, già apparsa in “Uncovered” del Moss solista), anch’essa inclusa nel succitato
Ep “virtuale”, ricordare con nostalgia, in questo caso pure un po’ troppo passiva e “reazionaria”, i tempi in cui questa “roba” conquistava diffusamente l’
airplay radiofonico.
Dischetto piuttosto godibile, dunque … o “beautiful”, se preferite gli anglicismi …