In questi ultimi tempi in cui la discussione sull’
europeismo dell’Italia e sul peso del
Vecchio Continente nelle grandi strategie internazionali è sempre più convulsa e all’ordine del giorno, di una cosa
perlomeno sono ormai pienamente convinto: dal punto di vista dell’
hard melodico il
Belpaese ha cancellato ogni forma di “timore reverenziale” e la sua competitività a livello mondiale è ormai una realtà incontrovertibile.
Tra i riscontri principali di questa evidenza vanno certamente annoverati i
Wheels of Fire dell’ottimo Davide “Dave Rox” Barbieri, e così mentre l’attesa per il progetto Charming Grace (l’
all star band che il
vocalist ha concepito assieme a Pierpaolo “Zorro 11″ Monti e Amos Monti di fama Shining Line) cresce in maniera esponenziale, recuperiamo doverosamente anche l’analisi di questo “Up for anything”, il secondo lavoro dei brillanti
AORsters nostrani.
Se cercavate qualcuno in grado di farvi rivivere l’epopea
aurea dei Bon Jovi (ma anche i fasti di Autograph, Danger Danger, Little Angels e Firehouse …), aggiungendo alla suggestione imprescindibili dosi di
buongusto e
freschezza, affidatevi senza indugi a questo lavoro davvero godibile, in cui doti e sensibilità esecutive e compositive s’intersecano come nella migliore tradizione di genere, sublimandosi vicendevolmente in un fascinoso percorso emotivo, tanto maturo e qualificato da poter sfidare con cognizione di causa le migliori rivelazioni dell’intero globo terracqueo.
Impossibile, quindi, non sottolineare pure la prova di Stefano Zeni, sopraffino sia con la sei corde e sia con penna & calamaio (ricordiamo, inoltre, i contributi di scrittura offerti dallo stesso Zorro e dal celebre Ale Del Vecchio), credibile nel suo ruolo di
novello Sambora, in quanto
partner ideale per un Dave Rox spesso veramente affine, per timbrica e vocazione espressiva, al migliore Jon Bon Jovi.
Iperboli e semplificazioni “giornalistiche” a parte e ancor prima di addentrarci (brevemente, lo prometto …) nei contenuti “veri” dell’album, meritano una menzione “d’onore” anche Suzzani, Uccellini e Vergori, impeccabili nei rispettivi incarichi, e una pletora di ospiti che, seppur importanti, qui rappresentano “solamente” il “fiore all’occhiello” di un risultato talmente convincente da non caricare tale presenza eccellente di particolari “responsabilità”.
“Follow your heart” e “Don’t walk away” (
featuring James Christian e Robin Beck) combinano in modo vincente ritmo e melodia, “Turning up the radio” ha una disinvoltura e un “tiro” da contagio immediato, “Pain” sfoggia un lirismo vagamente malinconico che scava nel profondo e sfocia nell’atmosfera melodrammatica di “Web of lies”, coinvolgente eppure appena un po’ troppo ridondante per il palato del sottoscritto.
“Lay your body down” accende i sensi alla maniera di certi Poison e dopo una “Respect” solo sufficiente (interessante, però, lo scontro tra
riff ombroso e armonie pastose), una “Come back home”di buona fattura e una romanticheria
bluesy come “Tell me”, tanto “classica” e piacevolmente
kitsch da risultare “irresistibile”, tocca al
R n’ R cromato “Nothing to lose” e soprattutto alla gemma cangiante “No mercy” (bello il solo di Rob Marcello) riportare il programma nella stratosfera del consenso, dove permane per merito della Aerosmith-
esque “Yesterday’s gone” e di “Everytime”, una
ballatona pianistica in crescendo, interpretata con adeguato trasporto da un Barbieri in versione
heartbreaker.
I WoF sono “pronti a tutto” e l’hanno ampiamente dimostrato … e voi siete disposti a concedere loro il credito dovuto ai grandi “emergenti” del settore?