Dopo averli visti dal vivo insieme ai
Gotthard, mi ricordo che venni sul sito a cercare chi e come avesse recensito i
Planethard e vidi con mia sorpresa una casellina vuota. Mi ero dunque ripromesso di occuparmi al più presto di recensire
No Deal, seconda fatica discografica del combo milanese: le vacanze di Pasqua sono state la giusta occasione per poter finalmente realizzare quanto deciso qualche mese fa!
Un album che rappresenta per la band una svolta rispetto a quanto fatto ascoltare finora, con tinte fosche, cattive e moderne che arrivano ad avvolgere l’hard rock stradaiolo delle origini. Una scelta che ha mandato in disgrazia tanti gruppi blasonati e che invece per questi ragazzi rappresenta l’occasione di dimostrare una capacità di songwriting matura e rara da trovare, oltre che una personalità davvero ben definita, in grado di arrivare all’ascoltatore come un sound unico, compatto e convincente.
Giusto per darvi un’idea, una proposta che a mio parere è accostabile, come attitudine, a quella di
Alter Bridge e
Adrenaline Mob, fino ad arrivare alle melodie dei nostrani
A Perfect Day ma anche a quelle degli ultimi
Gotthard di Steve Lee.
A guidare il tutto, due individualità che, unite a una sezione ritmica impeccabile, rendono la proposta dei Planethard ancora più efficace:
Marco Sivo e
Marco D’Andrea, cantante e chitarrista che ormai possiamo annoverarare di diritto tra i grandi nomi italiani in ambito hard ‘n’ heavy.
Il primo ha ormai raggiunto una qualità e una versatilità tali da permettergli di cantare con disarmante efficacia qualsiasi cosa, con interpretazioni in grado di mettere in risalto ogni sfumatura, ogni dettaglio, ogni colore. D’Andrea, invece, si guadagna applausi con una prestazione maiuscola, figlia di un gusto raro nel fondere tecnica e melodia, grazie anche ad un tocco potente e sempre più riconoscibile.
Insomma, un album che si presenta con tali premesse merita un’analisi track-by-track!
Il disco si apre con
Ride Away, pezzo da ricordare e fotografia clamorosamente nitida della band: aggressività nei riff e nella strofa, melodia efficacissima nel refrain e ottimo solo di chitarra. Si prosegue con
This World, in cui ritroviamo gli stessi elementi al servizio però di qualcosa maggiormente vicino allo street/glam come attitudine ma rielaborato e personalizzato alla grande.
Abuse vede la partecipazione in qualità di special guest di Masha Mysmane degli
Exilia al microfono: una voce perfetta per un pezzo moderno, saltellante, catchy e divertente, utile a fare sfracelli in sede live. Con
Wings In Vain si torna invece su territori più vicini a quelli dell’opener, con una canzone articolata, da assimilare con calma ma che si rivela a conti fatti tra le migliori dell’intero album.
Il primo rallentamento arriva con
To Tame Myself, dove una prima parte semi acustica esplode poi in un crescendo di emozioni valido e convincente. Nemmeno il tempo di rilassarsi e si torna a picchiare con il riff di
Nothing For Free, che lascia spazio a una strofa morbida per poi colpire con l’ennesimo ritornello da applausi e con una parte centrale in cui il metal è padrone incontrastato.
Con
Another Myself arriva però la canzone che proietta questo disco all’eccellenza. Tutto è perfetto: melodia, arrangiamenti, parti di chitarra, scelte vocali, testo. Una song di grande intensità, da sentire e amare. In altri paesi sarebbe un singolo già da mesi in rotazione su decine di radio, ma siamo in Italia e dunque lo sapete: tocca andare a scoprire da soli certe perle rare.
Il livello rimane alto con
Mass Extermination, veloce rasoiata di ottimo impatto, mentre con
Empty Book Of Friends echi contemporanei fanno nuovamente capolino in una canzone ancora una volta in grado di conquistare con melodie catchy, che “nascondono” riff e stacchi notevoli.
Divertente e azzeccata la cover di
Sign O’ Times di Prince, seguita da una
Until Tomorrow Comes che forse non è così memorabile in quanto a melodie ma offre un solo di chitarra notevole.
Chiusura affidata a
No Reason To Lie, il cui riffone da headbanging ci porta a un pezzo di zozzissimo hard rock, raffinato però da tutti gli elementi finora messi in luce: un brano pronto a conquistare applausi anche dal vivo grazie a grande classe e ragionata violenza.
Beh, avete capito, credo, che si tratta di un album da avere. Non è un caso se i Planethard, oggi, sono una delle realtà più importanti in Italia e se continuano ad accompagnare grandi artisti in tour. Sicuramente meritano lo spazio che si stanno faticosamente guadagnando e, anzi, ne meriterebbero anche di più. Siccome dipende anche da voi, mi raccomando: andate a scoprirli.