I
Nightglow sono una delle
cover band più qualificate dei Manowar, tanto da conquistare una legittimazione “ufficiale” da parte dell’Army of Immortals e dal ManOwar Italia, prestigiosi
fan clubs tricolori dei celebri
Metal Kings newyorchesi.
Con questi presupposti, per commentare questo loro “We rise”, ero già pronto a sfoderare tutto il mio miglior repertorio lessicale di stampo
epico-guerriero, ma i ragazzi di Sassuolo per un
attimo mi hanno spiazzato.
L’
opener del disco, infatti, sembra più orientata ad un
groove oscuro alla BLS e Down, che non alla potenza efferata del “vero metallo”, destando nel sottoscritto il “terribile” interrogativo … possibile che anche tra i
devoti maggiormente conclamati ci siano dei “traditori della fede”?
Beh, in realtà, per tranquillizzare tutti i
defenders impegnati nella lettura (e soprattutto per bandire le facezie!), potremo dire che la band è effettivamente, in sostanza, una valorosa formazione di
heavy metal “classico”, alimentata dalla
NWOBHM e dall’
epic-power americano, aggiungendo che nel suo suono, malgrado la costante e fatale influenza dall’arte barbarica dei migliori (sottolineiamolo) Manowar, sono percepibili pure esigue contribuzioni più “moderne”, per un effetto complessivo che non appare mai fastidiosamente “derivativo” e comunque non meno efficace di tanti dei frequentatori della “tradizione” per i quali oggi la “scena” mostra evidente benevolenza.
Il cantato di Daniele "Abba" Abate è alquanto Adams-
iano (una caratteristica che lo rende, indipendentemente da ogni altra eventuale valutazione, un
vocalist di notevole valore …) e le strutture armoniche sono anch’esse piuttosto “familiari” e tuttavia i pezzi sono costruiti con buongusto compositivo, incisività e con una discreta vitalità espressiva, evidente sia nei monoliti fatti di ritmi corazzati e di rapace solennità metallica (“Time lord”, “Between heaven & hell”, l’
epic-monstre “Shine of life” e le suggestioni di marca Maiden-
esque concesse a “Dreamland”) e sia nei momenti dove è possibile scorgere piccole contaminazioni “aliene” (oltre alla succitata
title-track, in “Don't cry” si assiste ad un fascinoso
mix tra AIC, Black Sabbath, Crowbar e gli stessi Manowar, mentre nei propulsivi detriti
thrash di “Evil dust” e in “End of time” fa capolino l’influsso dei Metallica …), garantendo agli appassionati una coinvolgente quarantina di minuti di sangue, sudore,
animus pugnandi ed evocative visioni ancestrali.
In conclusione, la tentazione di consigliare per il futuro un incremento di “personalità” è forte, ben sapendo, però, che per gli estimatori del genere tale prerogativa non è assolutamente prioritaria (altrimenti non si spiegherebbe il successo di un gruppo come gli Enforcer, tanto per fare un esempio …), e allora non mi resta che alzare il pugno al cielo e plaudere a questi abili ed sagaci
discepoli, capaci di ricordarmi perché amavo così tanto i loro sommi Maestri, prima che diventassero la triste “macchietta” dei tempi recenti.
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