Chitarre spesse, voce rissosa, muscoli in evidenza ed atmosfera da bettola fumosa, i milanesi
The Red Coil semplificano il lavoro dell’umile recensore inserendosi con estrema chiarezza in un filone che ben conosciamo (ed apprezziamo…nda): il southern/sludge heavy rock.
Nata intorno al 2008, la formazione italiana aveva esordito l’anno seguente con l’Ep “Slough off” (del quale mi ero occupato..), per poi perfezionare il proprio stile suonando il più possibile dal vivo. Questo primo full lenght ha invece avuto una gestazione piuttosto lunga, ma può vantare registrazione e mixaggio curati da Andrea Garavaglia (dei Mesmerize, band “prediletta” di un pezzo grosso di questa redazione…nda) nonché masterizzazione ad opera del noto Jacob Bredahl (Hatesphere, Allhelluja, cioè il vocalist con un enorme testa di Toro tatuata sulla schiena, a riprova della sua fede “granata”…forse..).
Il nome del gruppo è legato a concetti filosofici-yoga orientali, mentre l’ispirazione musicale non può che riferirsi ai consueti Black Label Society, Down, Entombed, C.O.C.,Brand New Sin, gli stessi Allhelluja, ecc. I brani sono tosti e massicci, con la limpida produzione che non toglie un’oncia al tonnellaggio generale. Tutti svolgono bene il proprio ruolo, con una citazione speciale per la voce da orso di Marco Marinoni. Manca un poco di elasticità nel songwriting, pur se emergono soluzioni interessanti come l’eco “pellerossa” in “S.S.C.”. Altri titoli da segnalare: “The ones that fall from grace”, “Fuckin’numb”, la tirata e cattiva “Narcotic jail” ed ancora “Beginning from nowhere”, con la sua lunga introduzione bluesy.
Buon lavoro per i The Red Coil, da ascoltare tra un disco e l’altro di Zakk Wylde.
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