Valis è un progetto nato nel ’96 per iniziativa di Dan Peters, drummer dei Mudhoney, e di Van Conner, l’ex bassista degli Screaming Trees qui impegnato come cantante-chitarrista. A loro si affiancano il fratello di Van, Patrick (Kitty Kitty) ed il bassista Kurt Danielson (TAD), con l’idea di proporre un rock dal taglio moderno, venato di stoner e psichedelia, ispirato magari alle teorie di Josh Homme, ben conosciute da Conner grazie ad antiche e fruttuose collaborazioni.
Due anni dopo il progetto diviene formazione a tutti gli effetti con la rinuncia di Peters, troppo preso dalla sua band principale e sostituito da Sean Hollister altro ex-Trees, e con la pubblicazione di uno split condiviso con i Kitty Kitty per Man’s Ruin. A seguito del fallimento della label di Kozik, i Valis firmano per Lunasound e realizzano il loro debutto esteso “Vast active living intelligence system”(2002), ben accolto un po’ovunque.
Il resto è storia di oggi, con l’ingresso di Adrian Makins (Kitty Kitty) al posto di Danielson e con il contratto per Small Stone, etichetta che produce il nuovo “Head full of pills”.
Ai notevoli mutamenti strutturali non corrispondono per fortuna altrettanti cambiamenti stilistici, tanto che questo lavoro riprende il discorso dall’esatto punto nel quale si era interrotto al termine del debutto.
Rock frizzante ed immediato, parzialmente avvicinato ad uno stoner nient’affatto Kyussiano dalla costante alternanza di brani rombanti d’assalto ed episodi pennellati di psichedelia melodica, piacevole contrasto di forza e gentilezza, solidità heavy ottantiana e personalità pop-lisergica.
Spiccano nella prima categoria di canzoni la sveltezza tuonante di “Motorbike”, il breve hard’n’roll “We got a situation” ed il tosto mid-tempo hard-Sabbathiano “World of decay”, con echi di Goatsnake, mentre la furba scioltezza dell’iniziale “Welcome to home school” sembra sconfinare in modo sin troppo semplicistico in un’orecchiabile hard-street. L’apice è invece raggiunto con la bella “Perpetual motion machine”, dove il gruppo unisce in modo egregio impatto heavy e riflessioni liquide, creando un brano complesso e variegato che tiene però ben a mente i confini della forma-canzone. Nei passaggi più trippy si colgono richiami ai Nebula, formazione alla quale i Valis possono essere per certi versi accostati.
Tra le atmosfere più ariose brilla invece la rilassata malinconia della title-track, altro hypno-rock Nebula-style, le grintose vibrazioni seventies dello space-rock “Voyager”, la leggerezza psych Floydiana dell’incantevole “Across the sky”, brani presentati senza mai calcare la mano in soluzioni ad effetto o eccessive dilatazioni fuori luogo. Misura ed una certa eleganza sono le carte giocate dai Valis, che ribadendo il concetto espresso nel lavoro precedente mostrano di privilegiare un songwriting ispirato e definito anziché le cavalcate strumentali o le fughe ridondanti, piazzando comunque un sensibile tocco di acidità rock frutto anche dei contributi del produttore Wes Weresch, in pratica quinto componente della band con compiti trip-creativi in una umile imitazione della collaborazione di Eno con i Roxy Music.
Infine resta un’album gradevole e ben fatto, canzoni piacevoli per un pubblico rock abbastanza vasto e non necessariamente settario, un lavoro che certamente non vi deluderà anche se la musica dei Valis non possiede ancora splendore tale da illuminare un periodo di grigiore generalizzato come quello che stiamo vivendo ora.
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