Alimentati tanto dalle pulsioni “tradizionali” dell’
hard-rock (Bon Jovi, Aerosmith, Gotthard, …), quanto dalla sua versione più “moderna” e
cool (3 Doors Down, Creed, Nickelback, Hinder, …, senza dimenticare i “padri putativi” Pearl Jam …), anche i
Vicolo Inferno arrivano al meritato debutto discografico “ufficiale”, dopo un paio di promettenti dischetti dimostrativi.
Un suono grintoso e affabile costituisce le solide fondamenta espressive di “Hourglass”, mentre tocca alla voce granulosa e comunicativa di Igor Piattesi ammaliare istantaneamente i sensi dell’ascoltatore appassionato, che non potrà, poi, trascurare, né le chitarre affilate e sensibili di Marco Campoli né l’efficacia di una sezione ritmica priva di pecche.
Personalmente accolgo con particolare favore la vocazione artistica del gruppo emiliano-romagnolo, capace d’ostentare una spiccata “classicità” senza per questo scadere in atteggiamenti eccessivamente ossequiosi e contemplativi, proprio come si richiede ad una formazione emergente di
rock duro impegnata nella problematica contesa del terzo millennio.
Per affrontare adeguatamente tale sfida, però, alcune piccole discontinuità presenti nel
songwriting di “Hourglass” andrebbero emendate, in modo da rendere il quadro complessivo integralmente all’altezza di “Hardesia”, della
title-track, di “Tombstone” (dalla prevedibile, visto il titolo, e gradevole atmosfera
western …), ”Hangin' on the blade”, e ancora della suggestiva “Earthquake” e della sempre intrigante “Lipstick” (già apprezzabile nel
demo “Hell’s alley”), brani, questi, effettivamente di caratura superiore, in grado di offrire ai Vicolo Inferno una chance importante anche in fatto di un’eventuale “penetrazione”
radiofonica.
Altrove, la mancanza di un pizzico di
grip e la “zavorra” di una certa “reticenza” ad allontanarsi da una formula stilistica consolidata, rendono il disco l’immagine di un “work in progress” di notevole prospettiva, da implementare alle voci “distinzione” e “magnetismo”.
Bravi, ma ancora una volta, sono convinto che da questi ragazzi si possa (e si debba …) “pretendere” di più …
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