Dopo il flop del da me tanto atteso nuovo dei Voivod, dopo che non ho nemmeno voluto recensire il nuovo Children of Bodom, lasciando a Gianluca il compito di parlarne, ora mi tocca di nuovo. Qui ci vorrebbe una sfilza di improperi, ma è inutile arrabbiarsi. La verità è che, come i loro connazionali sopracitati, anche gli
HIMda
Dark Light in poi, ovvero da ben otto anni ormai, si sono trasformati in un prodotto commerciale di scarso contenuto artistico, che all'inizio ancora si reggeva in piedi, poi è andato peggiorando. Sia chiaro, quindi, che la presenza nei top album è dovuta solo al nome di rilievo, che va segnalato. Gli ultimi tre anni di silenzio, in cui persino il sito web ufficiale era stato cancellato, la cacciata da parte della Sire/Warner ed il greatest hits
XX - Two Decades Of Love Metal facevano pensare ad una triste ma razionale fine. Invece no. Risolti anche i problemi alla mano del batterista Gas, la band è tornata; ma tutte le vicissitudini occorse non possono giustificare
Tears on Tape. La cosa positiva è un ritorno, se non alle sonorità di
Greatest Lovesongs Vol.666 e
Razorblade Romance, almeno a quelle del periodo
Deep Shadows & Brillant Highlights. Come contraltare, però, ne abbiamo due negative. Su tredici brani ben quattro sono: intro, outro e due intermezzi di soli suoni campionati. Dei restanti nove solo
I Will Be The End Of You,
Into The Night,
Hearts At War e
W.L.S.T.D. si salvano, grazie al refrain, alle melodie ed alle chitarre pompate di Lily, che richiamano i momenti migliori della loro carriera. Il resto sono pezzi scialbi, tirati via, del tutto trascurabili, quando non irritanti nella loro inutilità, nel loro cercare di tenersi in piedi a forza di mestiere e cliché. E non è tutto. A dare la mazzata finale al mio cuore già infranto c'è la voce di Ville Valo. Avete presente la sua meravigliosa, inconfondibile voce? Quelle tonalità a metà strada fra un elaborato canto balcanico ed un timbro assolutamente seducente e disperato? Ecco, Ville ha perso la voce. Il risultato sconfortante si palesa in queste nove canzoni che (anche le migliori), sembrano sussurrate anziché cantate; quando cerca di imprimere maggiore forza, si deve attaccare... a modulazioni impostatissime e finte, per sopperire agli acuti che non sembra avere più. Che la perdita possa essere permanente stanno forse a indicarlo i sette pezzi in più della deluxe edition, tutti classici degli HIM reinterpretati live in studio con la nuova voce di Ville Valo. Ascoltare
Join Me In Death così storpiata mi ha fatto venire quasi un colpo. Quale sia il motivo di tale perdita non è dato sapere per il momento. Spero solo che non sia auto cagionata a forza di eccessi (ancora ricordo un concerto a Roma nei primi anni del 2000 con lui praticamenteattaccato all'asta del microfono per reggersi in piedi e quasi afono), perché sarebbe davvero troppo. Sigh... come per i Voivod, la prima recensione che ho modo di scrivere di uno dei miei gruppi del cuore è una stroncatura. A Ottobre li andrò a vedere in concerto; con questi presupposti, spero di dovermene pentire. Ah, nel riff centrale di
Love Without Tears c'è una citazione di A National Acrobat dei Black Sabbath, nel caso interessasse a qualcuno. Un disco che non doveva uscire: chiudere, se non c'è più nulla da fare; riprendersi e tornare alla grande, se possibile. Ma non fateci assistere a questa agonia.