Questo Circumambulation (il bizzarro vocabolo indica una sorta di rito magico, consistente nel girare attorno a un terreno, un oggetto o una persona, così da preservarlo da influssi maligni) costituisce una sorta di paradosso sonico per il malcapitato scribacchino che si trovi a doverlo analizzare. D’altro canto, avendo scelto in piena coscienza e autonomia decisionale di occuparmene, ora me la devo smandolare io (che tradotto dal mantovano suonerebbe grosso modo come “adesso sono ca..i miei”).
Proviamoci dunque, proprio partendo dal paradosso citato poco sopra: la terza fatica dei True Widow, band proveniente da Dallas, è tanto semplice, omogenea e meccanica quanto sfuggente, inafferrabile, ambigua.
Provate ad immaginare un sound, spogliato della veste doom indossata nei primi due dischi, che decide di ripartire dal drone, abbracciando influenze shoegaze, indie e grunge, strizzando altresì l’occhio al desert rock. Io, per sovrappiù, ho percepito anche qualcosina dei White Stripes e dei Katatonia del periodo Discouraged Ones. Un casino? Per nulla, in realtà!
Le composizioni infatti, tutte giocate su ritmi lenti e solcate da melodie tanto minimali quanto sottilmente inquietanti, si dipanano in modo lineare e ripetitivo. Sull’ipnotico tessuto strumentale si stagliano le voci dei due cantanti, Dan (anche alla chitarra) e Nicole (che si dedica invece al basso): entrambe distratte, monocordi, quasi scocciate.
Partendo da simili premesse, diviene necessario operare una scelta di campo: se si intende godere di un lavoro così ostile per il metaller medio, penetrandone le algide barriere di apparente monotonia, è doveroso concedergli tempo. Vi posso assicurare, in effetti, che la voglia di abbandonare dopo tre brani al grido di “Basta, in questo cd non succede mai niente!”, e mettere un album a caso degli Impaled Nazarene a palla nello stereo ha sfiorato anche il sottoscritto. Se l’avessi fatto, tuttavia, oltre a contravvenire ai miei sacri doveri di recensore, avrei anche perso qualcosa.
Già, perché dopo aver assaporato il disco qualche volta in più, quelle atmosfere che parevano solo tediose si tingono di cupa malinconia (come nella bella S:H:S e nella conclusiva Lungr), e quelle altere trame chitarristiche ti entrano pian piano nelle ossa (Trollstigen è emblematica in tal senso), convincendoti infine della bontà della proposta dei texani.
Ciò, perlomeno, è quanto accaduto al sottoscritto. Sottolineo quindi, senza tanti giri di parole, che Circumambulation mi è piaciuto, pur riconoscendo i difetti congeniti a una proposta così peculiare (e lontana da quanto solitamente trattato in questo glorioso portale).
Il suggerimento per voi lettori è scontato: date un ascolto prima di procedere all’eventuale acquisto. Ma che sia un ascolto paziente e attento, mi raccomando, o le sottili sfumature emotive di cui il platter è intriso finiranno inevitabilmente perse, svilendo il discreto potenziale che i True Widow, almeno alle mie orecchie, hanno dimostrato di possedere.
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