Il doom italiano è da tempo realtà di un certo spessore, anche rispetto alle produzioni straniere. Un ulteriore conferma ci arriva dai milanesi
Black Oath, attivi dal 2006 e giunti al secondo album di studio.
Il loro stile è prettamente sabbathiano, basti notare il rifferama chitarristico, ed i lunghi brani puntano più sull’atmosfera oscura ed evocativa che sulle impennate strumentali. Le trame sono lineari ed essenziali, con articolazioni assai ridotte, ma il retrogusto gotico che pervade l’intero disco si rivela sufficiente a destare l’attenzione degli appassionati.
Molta cura è stata posta nelle liriche e nelle parti vocali, dal tocco lievemente melodrammatico, mentre i pezzi si snodano lenti e cimiteriali sul genere di Lord Vicar, Count Raven, Serpentine Path, Pale Divine, ecc. Le melodie dipingono scenari nebbiosi e arcani, sabba di streghe e presenze malvagie, unendo con buon gusto fondamenti settantiani e derivazioni successive anche di matrice nostrana. Episodio più ispirato e corposo “Darkon, it’s shadow upon us”, ma anche “Sinful waters” e la title-track si collocano ad ottimi livelli.
In ottica di sostenere la scena nazionale, consiglio i Black Oath a tutti gli amanti del doom tradizionale.
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