Una lenta discesa dalla luce dentro l'oscurità, una discesa inesorabile e non per forza negativa.
In definitiva un viaggio dentro la propria percezione del mondo: questo il significato simbolico del nuovo lavoro degli
Asofy, duo italiano dedito a quella particolare miscela sonora che spesso viene definita avantgarde.
Un termine, quest'ultimo, che vuol dire tutto e niente e che questa volta si concretizza in quattro lunghissimi brani, tutti oltre i dieci minuti, tra le cui note liquide dilatazioni post-rock, di scuola
Mogwai o
Godspeed you Black Emperor, convivono col marciume del black metal e la pesantezza e l'ossesività del doom più nero e funereo al quale possiate pensare.
"Percezione" non è un lavoro facile da digerire.
Esso è dolore, introspezione, abbandono. E', come detto all'inizio, un viaggio e del viaggio ha la struttura e le dinamiche. I brani non seguono, dunque, il solito schema canzone, ma sono interminabili tappe in cui chiaroscuri musicali si alternano a vocalizzi declamativi rigorosamente in italiano, dolci arpeggi lasciano il posto a violente dissonanze o ossessivi pattern sprofondano all'interno di rallentamenti che ti si appiccicano addosso per il loro sudiciume senza che sia facile liberarsene.
Solitamente l'avanguardia italiana, scena molto ricca di esponenti ma povera di qualità, non riesce a concretizzare le sue idee in un prodotto definito e realmente comunicativo: gli
Asofy sono una piacevole eccezione e
"Percezione" un album di spessore che spero non debba mancare nella collezione di chi ami viaggiare nella propria anima alla ricerca del buio che vi alberga.
Ipnotici.
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