Esordio discografico per questa one man band friulana (Udine, per la precisione), che decide di giocare subito un carico da 16 canzoni per oltre 68 minuti di musica. Già, ma quale musica? Il quesito è più pernicioso di quanto si possa pensare…
Il genere proposto dai Breeze of the Taylor Mountain viene etichettato come dark introspective metal. Simile definizione mi trova d’accordo solo parzialmente: di metal, ad onor del vero, ne ho rinvenuto ben poco; passi per il dark (ambient), mentre d’introspezione ce n’è quanta ne volete… io, in franchezza, trovo ve ne sia addirittura troppa!
Mi spiego meglio: il creatore di questa release ha riversato in essa tutta la sua frustrazione, la sua solitudine, la sua insopprimibile sofferenza. Nessun filtro, nessun calcolo, nessuna concessione alla forma canzone e nessun appiglio per l’ascoltatore, costretto a brancolare in un criptico universo di paranoie altrui.
Da un lato, non posso che apprezzare un approccio di tal fatta: denota senz’altro personalità e autentica urgenza espressiva e artistica.
Dall’altro, ahimè, devo altresì sottolineare come reputi il quadro d’insieme ben poco fruibile. Personalmente, non posso dire di esser riuscito a compenetrare l’intima essenza di questo progetto. Sarà forse un mio limite, ma ho trovato ben poca sostanza nell’infinita sequela di suoni ambientali, improvvise sfuriate di batteria, placide parentesi chitarristiche, parti vocali sussurrate, campionamenti assortiti e registrazioni di sofferenti urla femminili (autentico piatto forte: si contano decine di strilli lungo il disco).
Mi aggancio a ciò per imbastire una veloce disamina delle lyrics. Azzardo una supposizione: temo che la mente dietro i Breeze of the Taylor Mountain abbia subito angherie non indifferenti dal gentil sesso. Non credo che qualche semplice due di picche e qualche relazione finita male possa bastare a ingenerare l'astio nero e la violenta misoginia che strabordano dai testi. Furenti, livorosi, spesso e volentieri sfocianti in deliri di omicidio, tortura, sottomissione. Non sarà un caso se, nei ringraziamenti posti al termine del booklet, venga dedicato l’album a quella buonanima di Ted Bundy. La maggior parte di voi l’avrà almeno sentito nominare, in ogni caso stiamo parlando di un assassino seriale americano che, negli anni ’70, uccise più di 30 povere ragazze per poi seviziarle, decapitarle e via discorrendo.
Il poco rassicurante artwork di copertina completa il quadro, catapultandoci in una realtà disturbata e morbosa. Come detto, tuttavia, le inquietanti premesse crollano di fronte a un coacervo di suoni refrattario, ermetico, in definitiva tedioso.
Nel mio ruolo di recensore, in franchezza, non me la sento consigliare l’acquisto di Morbid Years of Agony ai lettori di Metal.it. Esorto comunque Giuseppe, mastermind dei Breeze of the Taylor Mountain, a fregarsene altamente delle critiche (ma sono certo che lo farà) e di andare avanti per la propria strada, continuando a produrre una musica che, mi pare di capire, funge anche da valvola di sfogo per le rabbiose pulsioni che lo agitano.
Volendo fornire un umile consiglio, lo inviterei però a convogliare le predette pulsioni in qualcosa di più fruibile e strutturato, così da levarsi, presumibilmente, qualche soddisfazione in più.