Non inventano nulla, non aggiornano in maniera sostanziale le caratteristiche tipiche del genere e non si avventurano praticamente mai al di fuori dei sentieri “conosciuti”, eppure con questo primo
full-length i
Seventh Veil fanno un passo importante nella conquista dell’
empireo dello
street-metal, andando a consolidare le impressioni positive del loro precedente “Nasty skin” e soprattutto ampliando in maniera significativa il coefficiente “contagioso” e persuasivo delle strutture melodiche, apparso un po’ carente nell’ingannevole brevità di quel
3-tracks Ep.
Il suono degli scaligeri è oggi un concentrato di brio, elettricità, cattiveria, viziosità e ruffianeria, in cui ogni elemento è dosato con ragguardevole perizia, confermando i nomi di Motley Crue e Backyard Babies nel comparto “principali influenze”, ma celebrati con un’espressività capace di restituirci un gruppo che sembra aver superato, sebbene magari non ancora in maniera assoluta, le ingenuità dell’esordio, dimostrando di possedere i mezzi compositivi, oltre a quelli tecnici e attitudinali, per fronteggiare con convinzione la scena di riferimento.
“White trash attitude”, ottimamente registrato, mixato e masterizzato da Oscar Burato agli Atomic Stuff Recording Studio di Isorella (Brescia) è, dunque, un prodotto di valore, in grado di soddisfare piuttosto diffusamente le esigenze peculiari di ogni
sleaze-rocker all’ascolto, il quale non potrà che lasciarsi fatalmente soggiogare dalle scintillanti cromature e dai
refrain ammiccanti di “Red light in your eyes”, "Slimy snake”, "Dirty distinctive” e “Sister cigarette” (una “robetta” tra Kiss, Girl e L.A. Guns … gran bel pezzo,
guys …), dalle scariche adrenaliniche procurate dal dinamismo di “No fear” e dalle coinvolgenti nostalgie del
Sunset Strip evocate da “L.A. dream” (conclusa, dopo qualche secondo di “esecrabile” silenzio, dal divertente e
anthemico epilogo di “Jack n' roll”), il tutto abilmente coordinato dall’ugola adescante ed abrasiva di Steven e innervato dalle chitarre taglienti, viscerali e discretamente sensibili di Jack e Holly, mentre Jeff ed Eric Roxx garantiscono la necessaria pressione ritmica ad un programma che anche nella maggiore prevedibilità di "Nasty skin”, “Are you ready to die?” e “Toy boy” riesce a mantenere la tensione emotiva su livelli più che dignitosi.
Se serviva un’altra testimonianza della validità e della credibilità italica nel “difficile” campo del
rock n’ roll, direi che l’abbiamo trovata … i Seventh Veil meritano la vigile attenzione dei sostenitori del settore e sono convinto potranno “crescere” ancora, incrementando ulteriormente quella freschezza interpretativa che li potrebbe portare davvero ad imporsi senza riserve nella “scena stradaiola” internazionale.
Nell’attesa, consumate pure “White trash attitude” … scommettiamo che non ve ne pentirete?
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