Porca miseriaccia (sostituite l’ultimo vocabolo con ciò che preferite, io non posso per ovvi motivi di censura), che occasione persa!
I
Sarke, pur essendo sconosciuti ai più, possiedono ottime credenziali (i primi due album,
Vorunah del 2009 e
Oldarhian del 2011, sono stati accolti molto positivamente dalla critica specializzata) e una line up mostruosa, che annovera indiscussi protagonisti della scena estrema scandinava (tra le varie collaborazioni
Darkthrone,
Satyricon,
Spiral Architect,
Borknangar,
Khold,
Susperia, band che alla peggio gradisco e alla meglio idolatro).
Simili premesse conducevano a ottimistiche previsioni per questo
Aruagint, loro terza fatica (ancora una volta per
Indie Recordings): i bookmakers quotavano solo 1.25 un suo approdo nei Top Album… Ma si sa, i pronostici sono fatti per venir smentiti.
Il mio ruolo di recensore brutto e antipatico impone di spegnere i facili entusiasmi, rilevando come l’ultimo dei
Sarke sia senz’altro un bel disco, che avrebbe generato discreto entusiasmato qualora composto dai miei vicini di casa; ma da musicisti di tale caratura (i
Sarke, non i miei vicini) era lecito attendersi qualcosa in più.
Si badi: non reclamavo affatto un informe melting pot dei sound delle band sopra citate (peraltro, ne sarebbe uscito qualcosa di abominevole), né avrei preteso un prodotto troppo intricato o rifinito. Le sonorità semplici che la band ha deciso di esplorare, in realtà, mi andavano a genio.
Di quali sonorità parliamo? Beh, vi basterà l’attacco dell’iniziale
Jaunt of The Obsessed per capirlo: il riffing basilare quanto efficace, sul quale si staglia lo sgraziato screaming di
Nocturno Culto, ci riporta subito indietro nel tempo. Paiono evidenti le influenze proto-black del quintetto, che ricondurrei principalmente ai
Celtic Frost dell’indimenticabile
To Mega Therion (soffermatevi, in tal senso, su canzoni come
Walls of Ru e
Jodau Aura); il tutto viene efficacemente sporcato (nel senso buono) da una venatura rock alla
Motorhead, che gli stessi
Darkthrone avevano inglobato nel loro sound.
Non certo un brutto background da cui attingere, vero? In effetti le composizioni (che si assestano sui ritmi medi, eccezion fatta per le inattese accelerazioni di
Ugly e della conclusiva
Rabid Hunger, forse la migliore del lotto) si susseguono piacevolmente, senza che emergano eccessivi profili di criticità. Eppure, a me è sembrato da subito lampante: di colpi di genio nemmeno l’ombra.
Pur gradendo, come detto, la direzione retrò intrapresa dai nostri, trovo che alcune idee potenzialmente interessanti siano rimaste allo stato embrionale, e che sarebbe stato necessario approfondirle maggiormente (sembro un professore del liceo).
Aruagint, in definitiva, non suona estremo come vorrebbe, la scelta di puntare tutto sui mid tempo avrebbe pagato se si fosse lavorato di più per diversificare i brani, i minacciosi interventi delle tastiere funzionano alla grande ma vengono utilizzati col contagocce, anche il rozzo feeling punk che emerge timido qua e là (si senta la già citata
Ugly in proposito) appare appena abbozzato… Ribadisco: gli spunti per un ottimo lavoro c’erano, ma non sono stati sviluppati a dovere.
Tornando ai professori del liceo: “suo figlio le doti le avrebbe anche, ma non si applica” si sentiva ripetere ossessivamente mia madre a ogni colloquio coi docenti. Ecco, cari
Sarke, lo stesso vale per voi: il talento non vi manca, ma la prossima volta metteteci più impegno, mi raccomando!