Nell’istante in cui ho appreso che
Nhor, misterioso titolare dell’omonima one-man band, non era norvegese, ho avvertito una lieve incrinatura dell’autostima: avrei scommesso cifre considerevoli (per le mie misere finanze, s’intende) sulla provenienza scandinava di questo progetto.
Gli indizi confluivano immancabilmente nella medesima direzione:
- l’artwork di copertina, che mi ha fatto tornare in mente quel gioiellino di
Fjelltronen (ad opera di
Wongraven aka
Satyr, per chi ha memoria corta) e i primi capolavori di
Burzum;
- il genere proposto, sul quale torneremo ma che per sommi capi mi ha ricordato alcune atmosfere proprie della band di
Varg Vikernes;
- il mood dell’album, che dispensa a piene mani quella gelida rassegnazione che tanti artisti nordici hanno saputo evocare…
…E invece ho toppato: il buon
Nhor proviene da Herefordshire, placida contea incastonata nelle verdeggianti Midlands Occidentali.
Ci sarei anche potuto arrivare, soffermandomi su altre realtà albioniche dalle sonorità non così dissimili (
Fen in primis)… Mettiamola così: chi se ne frega, in fin dei conti, se il mio fiuto si è inceppato (ammesso che abbia mai funzionato): l’importante è che la musica sia buona, no? E
Within the Darkness, Between the Starlight, per fortuna, non difetta in tal senso.
Giunto al secondo full length (dopo
Whisperers to this Archaic Growth del 2011), l’artista britannico sembra aver ben chiaro il sentiero che intende imboccare: un sentiero impervio, tanto sotto il profilo musicale che sotto quello meramente commerciale, ma proprio per questo carico di fascino. Il disco in esame, di fatto, ci regala la trasposizione in note dell’anima del compositore, che si affida in toto alla propria sensibilità, in barba alla forma-canzone, alla teoria della composizione e alle regole preconcette.
Un’urgenza artistica insopprimibile, che per paradosso di urgente non ha proprio nulla, posto che la caratteristica principale del platter è proprio la sua qualità contemplativa e intimista.
Nell’arco dei 58 minuti scarsi di durata del disco possiamo renderci conto una volta ancora che il sodalizio tra black metal e ambient può dar vita ad autentiche gemme di desolazione. Entrambi i generi vengono interpretati nella loro accezione più minimale: riff ossessivi e old school da un lato (sui quali si staglia uno screaming davvero straziante), tenui note di pianoforte dall’altro. Laddove le due componenti si mescolano possiamo godere, a mio avviso, dei risultati migliori: penso a pezzi splendidi come la title-track (a mio avviso l’highlight del platter) o
The Fall of Orion, con la loro alternanza di calma e rabbia. Non mancano poi gli interludi strumentali (
An Awakening Earth e
Alnilam), che dipingono tristi paesaggi in cui l’ombra regna sovrana.
Certo: un approccio così riflessivo, di quando in quando, si traduce in una dilatazione dei tempi che lambisce il tedio. Alcuni esempi? Beh, reputo che una versione bignami degli incipit di Patient Hunter, Patient Night e The Temple of Growth & Glimmer Ascend (rispettivamente cinque e otto minuti spaccati di soffuse, quasi impalpabili, note di pianoforte) si sarebbe fatta preferire, ma potrei citare altre trame che si dipanano con calma eccessiva.
Al di là dei difettucci di cui sopra (in qualche misura congeniti alla proposta musicale), mi sento di consigliare
Within the Darkness, Between the Starlight senza remore agli spiriti crepuscolari, che si troveranno a loro agio con atmosfere dolenti e rassegnate in grado di fornire adeguata colonna sonora al lento, ma inesorabile, trapasso della stagione estiva. Chi, invece, predilige musica più catchy e immediata, si tenga alla larga: il rischio è quello di impazzire di uggia e commettere gesti estremi (tipo riesumare
Gangnam Style di
Psy e tentare di emularne il balletto).
Bello, ma non per tutti.