Sarà forse perché il
rock, tra contaminazioni,
progressioni varie e un profluvio di suggestioni
post, era a rischio d’imbolsimento, sarà perché una generazione di musicisti giovani ha riscoperto le collezioni discografiche di genitori e fratelli maggiori, sarà per il carattere immarcescibile dell’
heavy metal, una delle correnti “culturali” (anche dal punto di vista attitudinale e iconografico) più longeve e popolari del novecento, o più semplicemente a causa dei soliti fenomeni di “corsi e ricorsi storici” che fatalmente caratterizzano da sempre la nostra società, ma è ormai innegabile che la
New Wave of Traditional Metal (o
New Wave of NWOBHM, o ancora
New Breed of Classic Metal, se preferite …) è una realtà consolidata dell’attuale scena musicale internazionale.
Per rendersene conto è sufficiente rilevare l’imponente quantità di gruppi devoti ad un’epoca che non conoscono per esperienza diretta e che tuttavia ha saputo soggiogarli attraverso suoni, atteggiamenti e immagine evidentemente tanto intensi e suggestivi da renderli protagonisti di una “risurrezione” spesso alquanto credibile e genuina.
I canadesi
Axxion, qui all’esordio sulla lunga distanza con “Wild racer”, si allineano proprio ai migliori interpreti di tale rinascita, dimostrando un’attenzione alla “storia” del genere veramente scrupolosa, onorando sia i maestri britannici Iron Maiden, Saxon, Judas Priest, Diamond Head e Grim Reaper, e sia la solida tradizione di “settore” della loro terra d’origine, rappresentata da gente come Sword, Anvil ed Helix, spingendosi addirittura fino ai Thor (quelli capitanati dal culturista John Mikl Thor,
ehm … famoso, soprattutto per gonfiare con la sola forza del suo fiato, fino a farle esplodere, le borse dell’acqua calda durante i concerti …), celebrati attraverso una buona rilettura della loro “Ride of the chariots”.
Alla luce di tali presupposti, non dovrebbero esserci dubbi sul contenuto del disco … impatto “fisico” e
anthemico, sequenze pressoché ininterrotte di
riff e
solos taglienti e ficcanti (e con un chitarrista che si fa chiamare Sir Shred, la cosa non sorprende …), ritmica muscolare e fragorosa e una voce enfatica e altisonante (dai risvolti timbrici, a volte, vagamente DeFeis-
iani …), in un quadro complessivo ovviamente ortodosso, “prevedibile” e, se vogliamo, pure apparentemente un po’
kitsch e anacronistico, alimentato, però, da un’urgenza espressiva e da un’intensità tecnico-compositiva impossibili da ignorare, nemmeno da chi questa “roba” la frequenta già da “qualche” tempo.
“High bars”, “Hard rockin”, “Stallion”, “Fireheart”, "Tonight” e la stessa
title-track dell’albo sono i titoli “guida” di un programma complessivamente piuttosto efficace e coinvolgente, in cui il “citazionismo” pur imperante non è mai eccessivamente calligrafico, a garanzia di spontaneità e di autenticità artistica.
Insomma, alla fine, come suggerisce il
monicker della
band, l’approccio migliore in casi simili è di bandire le “ciance” e affidarsi all’
azione (lo dicevano anche i Def Leppard …), e così godersi una quarantina di minuti di “sano” e “vecchio”
Metallo Pesante, da oltre trent’anni capace di corroborare muscoli, cuore e cervello di
grandi e
piccini … che sia davvero
immortale?