Lo ammetto: adoro
Anneke. Ciò non toglie che, trattando del suo ultimo lavoro, io esca non poco dalla mia comfort zone di recensore. Dirò di più: una quindicina di anni fa, quando possedevo ancora capelli lunghi e invalicabili confini musicali da presidiare, avrei liquidato un album come questo con un commento sdegnoso e un voto intorno al 4.
Non so se sia una fortuna o una iattura, se si tratti di maturazione o rincoglionimento, ma a 33 anni suonati e con un matrimonio alle porte, devo dire che le sonorità spudoratamente radio friendly e poppeggianti di
Drive hanno saputo allietarmi, se non proprio conquistarmi.
Certo, l’interprete olandese ha giocato un ruolo fondamentale in tal senso: se gli stessi brani fossero stati cantati da
Katy Perry, per dirne una, avrei gettato il cd dalla finestra dopo pochi istanti!
Presumo che la maggior parte dei lettori avrà imparato a conoscere le evoluzioni canore della
van Giersbergen grazie ai 13 anni trascorsi nei
The Gathering (ma vi consiglio caldamente di ripescare le collaborazioni con
Devin Townsend nei fantastici
Addicted! ed
Epicloud e quella con gli
Anathema, cui ha donato una magistrale interpretazione di
Everwake): saprete quindi quanto eterea, colorata, soave ed espressiva sia la sua voce, che riuscirebbe a rendere bella persino… volevo citare una canzone famosa di
Katy Perry, ma giuro sul mio onore che non ne ricordo nemmeno una!
Per carità, i 10 pezzi che compongono
Drive non sono poi così male! Anzi: immediati, diretti, strutturalmente elementari, eppur dotati di buone melodie. Spettacolare, poi, la produzione, così come gli arrangiamenti, sempre azzeccati.
Come detto, il sound è oltremodo accessibile (pensate a una sorta di melting pot tra i
The Killers, i
Muse, i
Cranberries meno folk e
Belinda Carlisle), e talvolta passa il solco sfociando nello stucchevole. Ma quando il songwriting la assiste,
Anneke sa davvero incantare: è senza dubbio il caso della opener
We Live On, brano intenso ed epico, agevolmente mio preferito del disco.
Convincono anche l’anthemica title track e
The Best Is Yet To Come, in virtù di chorus catchy all’inverosimile (che siano maledetti: non riesco più a levarmeli dalla testa!).
Troppo leggerine, invece, la ballad pianistica
My Mother Said ed episodi come
She o
Shooting for the Stars, non brutti ma davvero troppo lontani dalla mia sensibilità musicale per attecchire.
L’ultimo lavoro della rossocrinita originaria di Sint-Michielsgestel, tirando le somme, non è un capolavoro, non resisterà all’inesorabile trascorrere degli anni e farà letteralmente senso (o scarezza, come si dice a Mantova) a molti di voi, non lo nascondo. Ma se siete giunti sin qui nella lettura, e andate cercando un prodotto cantato in modo divino, ben confezionato e in grado di farvi trascorrere 40 minuti spensierati, dovreste considerare seriamente l’acquisto di
Drive.
Brava
Anneke! Adesso però tento di sciacquarmi l’encefalo da quei maledetti ritornelli sparandomi l’ultimo dei
Revocation…