Ho chiesto al Sommo Boss di poter recensire i
Dead End Finland dopo essermi casualmente imbattuto in una loro canzone sul web, alcune settimane orsono. Conservavo un ricordo positivo del loro death metal melodico di vocazione moderna (leggasi: con qualche deriva *core), che disegnava una sorta d’incrocio tra i
Soilwork di
Natural Born Chaos e i
Mutiny Within, ma che poteva contare su un guitar work ben più possente. Non appena intrapreso l’ascolto di questo nuovo
Season of Withering (secondo lavoro del quartetto dopo
Stain of Disgrace del 2011), mi sono reso conto che proprio il brano che conoscevo era stato scelto come apripista.
Mai scelta fu più azzeccata: la title track si conferma canzone di razza. Una intro semplice quanto contagiosa di keyboards viene spezzata da un growling corposo al punto giusto; di lì a poco prorompono le chitarre, che si lanciano in un riff trascinante, in grado di buttar giù un muro di mattoni.
Ottimo inizio, non c’è che dire…
Peccato che i pezzi successivi si siano dimostrati incapaci di scalfire un listello di compensato, rivelandosi nulla più che brutte copie dell’opener.
Solitamente ho il difetto di prenderla larga, giungendo al nocciolo della questione un po’ per volta; eppure, nel caso in esame, ritengo valga la pena essere più diretti. Ecco dunque: il platter si compone di 10 capitoli (facciamo 9, visto che
Bag of Snakes è un breve e superfluo break atmosferico posto a metà disco) ai minimi storici in termini di inventiva e varietà.
Avevo addirittura pensato di indire un piccolo concorso: sapreste trovare cinque differenze tra gli incipit di
Season of Withering,
An Unfair Order,
Sinister Dream e
Hypocrite Declaim?
Se deciderete di cimentarvi nell’impresa, sappiate che si rivelerà ben più ardua di quanto crediate.
Ironia a parte, il modus operandi del gruppo sembra davvero inviolabile, direi quasi dogmatico: solo massicci mid tempo, strofe immancabilmente contraddistinte da riffone death stemperato da giro (singolare d’obbligo, visto che è sempre lo stesso) di tastiera catchy, growling che (ve lo sareste mai aspettato?) lascia il posto a clean vocals ricche di riverbero in occasione dei maestosi (almeno nelle intenzioni) ritornelli… La formula, già di per sé, è abusata e trita a dir poco, ma qui viene riproposta con un’ostinazione che lambisce il parossismo, e finisce dunque con lo stancare molto presto.
Peraltro, sottolineo come il voto poco lusinghiero non sia maturato per esclusiva colpa della ripetitività: pur volendo ignorare tale aspetto, non si potrebbe comunque sorvolare sulla mancanza di mordente che affligge i brani, le cui melodie non si stampano affatto in testa e le cui parti violente scorrono senza lasciar traccia.
Non basta certo un’accelerazione qua (si veda il discreto attacco di
Silent Passage) o un arrangiamento di violini là (
Shape of the Mind) a nascondere una sterilità compositiva allarmante per un gruppo che ha ancora tutto da dimostrare.
Spiace sempre criticare i giovani virgulti che animano il sottobosco del metal (più o meno) estremo. Ve lo assicuro: preferirei di gran lunga indirizzare le mie lamentele verso band dal sound simile ma più celebri e talentuose, benché ormai spompate e svendute (ogni riferimento a cose, persone o
In Flames è puramente casuale); tuttavia, i difetti di
Season of Withering paiono troppo macroscopici per venir sottaciuti.
I
Dead End Finland dovranno al più presto rimboccarsi le maniche, osando di più in sede di songwriting, lavorando sodo sulle future composizioni e facendo presente a
Jarno Hänninen che la sequenza dei tasti da pigiare sulla sua graziosa tastierina non è immutabile per Regio Decreto, ma può anche variare.
Restando così le cose, temo che l’unica prospettiva plausibile per il combo di Helsinki sia l'oblio.
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