Nati dall’unione delle forze di ex membri di gruppi seminali della scena post metal e noise nordamericana, gli A Storm of Light presentano il loro debutto su Southern Lord e quarto album da studio, tracciando da un lato una linea di confine con quanto proposto in precedenza.
Le influenze di gruppi come Neurosis, Isis e Unsane, che avevano fatto gravitare i precedenti lavori di Josh Graham e compagni attorno a sonorità cupe e dilatate, lasciano spazio da subito, in questo nuovo lavoro, a una visione più compatta e diretta. Fin dalle prime tracce si capisce che la direzione della band impiega ora soluzioni più affini all’industrial e al noise metal degli anni Novanta (non possono non venire in mente i Killing Joke e soprattutto i Godflesh), impostando strutture abbastanza dilatate e che tornano alla forma-canzone più standard, rinunciando così alle passate sperimentazioni.
La nota dolente è che, nonostante l’evidente bravura ed esperienza dei componenti (grande prova di fantasia e capacità tecnica in particolare da parte del batterista Billy Graves), le canzoni risultano abbastanza ripetitive e poco frizzanti, sapendo molto di “già sentito” e di datato.
Idee buone o comunque non brutte non sempre bastano a rendere un album interessante, così, se si hanno per esempio dei bei momenti movimentati e dinamici in pezzi come Omen o Disintegrate, c’è anche parecchia staticità e un pizzico di anonimato che disturba non poco l’ascolto.
Forse un po’ troppo poco per un quinto album di una band che può fregiarsi di una certa esperienza.
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