Agli americani
Zud, temine derivato dal mongolo che vuol dire, più o meno, inverno particolarmente freddo e aspro, si può dire di tutto tranne che non siano originali.
La loro mistura di blues, hard rock anni 70, classico heavy metal anni '80 e black metal norvegese non ha, infatti, paragoni nell'attuale scena mondiale. Per lo meno a me non è venuto in mente nessuno che suoni come loro.
La cosa migliore di
"The Good, the Bad and the Damned", primo album di lunga durata dei nostri simpaticoni, è che influenze tanto diverse sono amalgamate in modo piuttosto convincente. Certo, passare da lunghe fughe strumentali tipiche degli anni '70 a riffing thrash di ottima qualità e condire il tutto con atmosfere e dissonanze alla
Mahyem dei tempi d'oro è spiazzante e non facile da digerire.
I puristi di questo o quel genere storceranno il naso di fronte a questi cinque, lunghissimi, brani all'interno dei quali si mescolano irruenza giovanile, eleganza e passione musicale, strafottenza, scream ferale ed il classico calore dell'hard rock di qualità, mentre gli ascoltatori più inclini alle novità troveranno pane per i loro denti e gioiranno di fronte ad una proposta davvero intelligente e, lo sottolineo, di qualità.
Non che tutto sia perfetto, chiariamolo. Qui e la ci sono forzature e passaggi meno riusciti, ma nel complesso l'album si lasci ascoltare con piacere e scorre via veloce e in modo soddisfacente inducendoci a premere il tasto play una seconda volta, cosa che, di questi tempi, non è scontata per nulla.
Se amate
Bathory, l'approccio "punk" degli ultimi
Darkthrone, il rock fatto bene e delicati passaggi strumentali che stemperano la furia dei momenti più tirati, date una possibilità ad un gruppo che merita il vostro rispetto.
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