Mettiamola così … mi avessero spacciato gli americani
Volture per una delle tante “gemme perdute” degli
eighties, per un oscuro propugnatore della
NWOBHM riportato alla luce da un
business discografico contemporaneo particolarmente
attento a questo tipo di ritrovamenti, ci sarei cascato, come si dice, “con tutte le scarpe”.
“On the edge”, il loro debutto sulla lunga distanza (che arriva dopo un raro
split con gli Enforcer e l’acclamato
Ep “Shocking Its prey”) ha tutte le caratteristiche necessarie ad “ingannare” anche il più smaliziato degli estimatori del genere: flussi imponenti d’incontenibile energia, approccio diretto e “primitivo”, una registrazione adeguatamente “vintage”, oltre, ovviamente, alla meticolosa osservanza dei dogmi stilistici del
british metal, sembrano celebrare proprio i tempi e le atmosfere delle varie “Metal for muthas” e “Heavy metal heroes”, antologie ricche di future celebrità, magari ancora un po’ “acerbe”, e pure di parecchie meteore.
Difficile dire con certezza se questo sia il risultato di un’osservazione accurata delle dinamiche “commerciali” del mercato (tenendo anche conto di un gruppo dotato di una certa esperienza, con Twisted Tower Dire e Municipal Waste tra le principali voci del
curriculum …) oppure se si tratti, invece, di una propensione “istintiva” alla materia, ma sono quasi sicuro che i cultori di Iron Maiden, Saxon, Judas Priest, Tygers Of Pan Pang, Blitzkrieg e Samson (nonché i
fans di Cauldron, Enforcer, White Wizzard, ecc.) apprezzeranno ampiamente l’approccio espressivo urgente e viscerale di questo agguerrito quintetto di Richmond.
Poco importa, in fondo, che la voce di Jack Bauer non risulti costantemente in perfetto “controllo” o se talune composizioni siano effettivamente un po’ troppo prevedibili … quando si è in grado di sfornare brani avvincenti come “On the edge”, “Ride the nite”, “Brethren of the coast” e “Deep dweller”, valorose galoppate
anthemiche capaci di stimolare, mescolando abilmente immarcescibili
cliché e opportuna ispirazione, la parte più passionale di ogni
metalofilo (quella che ti “costringe” all’
headbanging, che evoca iconografie da “difensori della fede” e altre “amenità” simili, per intenderci …) che si rispetti, ogni altra eventuale considerazione squisitamente “razionale” finisce per passare in secondo piano.
Un disco di (discreto) valore
trans-generazionale, insomma, una sorta di patto di “ferro” tra
genitori e
figli per una
band che può ancora crescere, nella speranza che non perda il suo (naturale o “studiato” …) slancio, importante elemento di distinzione in un contesto stilistico molto frequentato e competitivo.
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