Dopo aver regalato un successo dopo l'altro a nomi come Ten, Bob Catley e John Parr sia in veste di songwriter sia come talentuoso tastierista, Paul Hodson firma il suo primo lavoro da solista. E lo fa circondandosi da musicisti di tutto rispetto reclutati tra le fila dei Pulse (Lynch Radinsky alla batteria), della band di Bob Catley (il chitarrista Vince O´Regan) e del prestigioso Bass Institute (la bassista Josie Vespa). Hodson veste per la prima volta i panni del lead vocalist e interpreta finalmente nove creazioni frutto della sua prolifica attività di autore questa volta non più al servizio (e a beneficio) di Gary Hughes e soci. Visto il passato di Hodson e dei membri della band non c´è da meravigliarsi che "This Strange World" sia pervaso da melodie che ricordano Ten e Magnum, ma è indubbio che questa release abbia una sua identità solida e ben definita. "This Foolish World" è una perfetta track di apertura che, col suo intro epico ed imponente, presenta gli Hodson al loro nuovo pubblico ed inaugura una serie di fortunatissimi dialoghi chitarra-tastiera. La successiva "Jelunda" sembra essere annunciata da un ministro di culto musulmano che canta la sua preghiera dall'alto di un minareto. Superato l´effetto mistico creato dalle incomprensibili litanie arabeggianti "Jelunda" fa sfoggio di una melodia ammiccante che sfocia in un coro spiccatamente AOR e di graffianti riff di chitarra.
"The Calling" mette in luce quello che è il limite più evidente del modo di cantare di Hodson, cioè la tendenza a spingersi troppo oltre le sue reali possibilità. La struttura di questo mezzo-tempo è piacevole e il ritornello è ficcante ma Hodson pare dimenticare di non essere Gary Hughes: pur avendo una voce maestosa non rende troppo bene sotto eccessivo sforzo. Grandiosa la chitarra acustica nella parte conclusiva del brano. "My Saviour" è in perfetto stile Ten, maestosa e melodiosa, veloce ma non troppo, ha nel chorus il suo momento migliore. Sonorità più granitiche per "English Rose" dove i cori di facile presa vengono trascurati per lasciare spazio alla chitarra di O´Regan e alla solida sezione ritmica del duo Vespa-Radinsky. Anche in questo brano l´ugola di Hodson viene strapazzata un po' troppo.
"Shamen Eyes" e "Soulman" inaugurano una serie di brani - tributo ai Rainbow che culmina con la cover di "Light In The Black", presa in prestito dall'album "Rising" a quasi trent'anni di distanza, autentico capolavoro in cui Hodson imita rispettosamente i vocalizzi di R.J. Dio e ogni strumentista supera se stesso. Strepitoso l´assolo di tastiere. La chiusura spetta alla suggestiva "The Swan", nostalgica ballad dai toni medievali, senza dubbio un brano di grande spessore, unico e ultimo lento dell'album.
Certo, Hodson non è il più grande vocalist nella storia dell´hard rock ma bisogna riconoscergli una discreta tecnica e una bella dose di coraggio nell´affrontare impavido paragoni scontati ma inevitabili con le celebri ugole di Hughes e Catley.
La produzione non è il massimo ma se non altro lascia democraticamente spazio a ogni strumento.
Più che positivo, dunque, il bilancio per il primo disco solista di Paul Hodson sostenuto da eccelsi compagni d'avventura e, ancora una volta, autore capace e fantasioso.
A Settembre gli Hodson saranno in tour: mi auguro che avremo modo di apprezzarli dal vivo!
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