La recensione di Gino del primo album dei Vicious, precedente incarnazione dei quipresenti Grandexit, iniziava con un concitato appello:
"Abbasta! Abbasta co sta merda!" e si chiudeva con un bel 2 di stima. La recensione di Burden del secondo disco dei Vicious iniziava citando il cappello introduttivo di Gino, rimarcandone la bontà e si concludeva con lo stesso 2 di stima. Ora tocca a me e ai
Grandexit..cambieranno le cose?
No. Abbasta co sta merda!
Cambia il nome ma la sostanza è sempre quella: i Grandexit o Vicious o Sarcazzo farebbero meglio a comprarsi un bello chalet da qualche parte nella loro Svezia e rimanerci a vita, senza toccare più uno strumento manco per sbaglio.
Per onestà intellettuale va detto che dopo gli aborti targati Vicious, questo "
The Dead Justifies the Means" qualcosa di buono almeno ce l'ha: un paio di canzoni, "
Box of Glass" e "
Obstacle Run", sono dei discreti esempi di buon prog death, con soluzioni articolate e tecnicamente ben eseguite, così come qualcosina di buono lo possiamo ascoltare nella conclusiva "
The Superior Arrival". Il problema è che è tutto li e, soprattutto, il resto è di una bassezza clamorosa: dopo l'intro "
The Striven" abbiamo una doppietta da brividi, in negativo, che culmina in una "
Judgement of the Wicked" da far accapponare letteralmente la pelle. E mi fermo qui, che è meglio.
Cosa ci abbia visto la solitamente attenta Lifeforce in questi svedesi non lo so, fatto sta che i
Grandexit a mio parere non meritano affatto un palcoscenico importante come quello offerto tramite l'etichetta tedesca. Considerate l'idea dello chalet, ma senza campanello: sia mai che vi venga in mente di suonare anche quello.
Quoth the Raven, Nevermore..
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