Almah a tutti gli effetti si è trasformato da un side-project di
Edu Falaschi ad una band vera e propria, con una lineup ormai definita (rispetto all'album precedente sono da registrare gli ingressi del chitarrista
Gustavo di Padua e del bassista
Raphael Dafras), con alle spalle ormai una discreta discografia, che porta come prima data il 2006.
Almah (il disco) è stata una vera delusione, soprattutto per le alte aspettative che si erano create attorno all’ex singer dei brasiliani Angra, così come è stato stroncato l’ultimo
Motion, album troppo diverso, troppo industrial, con degli screaming fastidiosi (e decisamente fuori luogo), e una qualità decisamente bassa, con una band forse alla ricerca di una propria identità, e soprattutto di differenziarsi in un panorama decisamente inflazionato.
Si arriva così al 2013 con
Unfold, quarto album che segna fortunatamente una decisa sterzata verso un suono più “tradizionale”, dettato probabilmente dalla bocciatura da parte di critica e pubblico di Motion, anche se ancora il risultato non soddisfa. Al di là di un guitar work stratosferico,
Unfold non decolla mai, e anzi, si perde in se stesso, trovando spesso a combattere contro fantasmi che aleggiano nelle composizioni.
Si parte a razzo con
In my sleep, speed track che sa veramente lasciare il segno, dove i riff si susseguono in un ritmo spasmodico, e con
Falaschi in ottima forma, e sembra un preludio ad un lavoro accattivamente e finalmente azzeccato, come ci si aspetterebbe da cotanti nomi. E invece così non è: la successiva
Beware the stroke è, sempre secondo il sottoscritto, imbarazzante, con un chorus che sembra scopiazzato dai lavori dei
Sentenced e
Poisonblack, tanto che ascoltata distrattamente sembra quasi che a cantarla sia proprio Laihiala. Anche in Raise the sun (scelta come singolo apripista) si possono sentire delle pesanti influenze gothic, soprattutto nell’uso delle tastiere, e, come già detto prima, nell’impostazione del chorus. Cannibals in suits sembra più un brano dal precedente
Motion, e dopo un primo riff ipnotico, comincia a picchiare quasi fosse un album degli
In Flames, con tanto di chorus melodico. Poco convincente anche la melodica
Wings of revolution, con la parte centrale banale e un chorus che al secondo ascolto risultano piatti e fastidiosi.
Il momento migliore è senza alcun dubbio
Treasure of the gods, quasi dieci minuti di vero e proprio prog-epic-power metal, dove quasi tutto si fonde alla perfezione, partendo dall’intro acustica, vari cambi di tempo, accelerazione e quindi chiusura acustica; una traccia complessa, tecnica, che suona come tutto l’album sarebbe dovuto suonare.
Ci sono anche le ballad in questo
Unfold, ma non convincono:
Warm wind è una ballad acustica che molto deve alle sonorità Angra, e a tratti suona troppo banale. Chiude l’album
Farewell, malinconica traccia costruita attorno al piano e alla voce di Falaschi, che sembra incompleta, anche forse a causa di una struttura troppo semplicistica.
Purtroppo a me il project/band
Almah continua a dir poco o nulla, e mi veramente andar fuori di melone veder tanto talento sprecato in uscite come
Unfold, tanto più quando al suo interno si trovano perle come
Treasure of the Gods o buoni brani come
In my sleep, ma ci sono tantissimi episodi mediocri o comunque poco personali, e da musicisti e da una band del genere è assolutamente lecito aspettarsi (molto) di più.
Voto comunque sufficiente per la presenza di un paio di canzoni veramente di qualità, e come buon auspicio per il futuro.