Terzo album per i
Signum Regis, creatura del bassista slovacco dei
Vindex Ronny Konig che si segnala principalmente, e non me ne vogliano gli altri, per la presenza dietro al microfono di
Goran Edman, indimenticato ed indimenticabile singer, tra gli altri, di due album imprescindibili come "
Eclipse" e "
Fire & Ice" di sua maestà
Yngwie Malmsteen.
Col terzo cambio di label su tre (
Locomotive -->
Inner Wound -->
Ulterium) giungiamo ad "
Exodus", che ancora una volta non si discosta da un certo classic/power metal di stampo neoclassico e con qualche spruzzatina progressive più a livello di sonorità che di soluzioni, basate principalmente su un sound caro ai
Royal Hunt, più i vari capisaldi del genere.
Probabilmente anche a causa della natura del disco, che è una sorta di "metal opera" più un concept album come è chiaramente intuibile dal titolo sulla schiavitù degli israeliani in Egitto, Goran Edman non è più il titolare indiscusso del microfono ma uno dei tanti ospiti che affolla questo "Exodus" e per la precisione troviamo Lance King [ex. Pyramaze, Balance of Power], Michael Vescera [Obsession, Animetal USA], Matt Smith [Theocracy], Daísa Munhoz [Vandroya, Soulspell], Eli Prinsen [Sacred Warrior, The Sacrificed], Samuel Nyman [Manimal], Thomas L. Winkler [Gloryhammer, Emerald], e Mayo Petranin [Castaway]. Il tutto condito da Tommy Hansen alla console che ci garantisce una produzione di tutto rispetto.
Anche a causa di questo sorprende qua e là, specialmente a metà disco,qualche episodio decisamente in tinta iron & steel ottantiano, in pieno delirio Judaspriestiano, come l'esagerata e grintosa "Wrath of the Pharaoh" e la bordata di "
The Ten Plagues" ma, abbiate pazienza, senza libretto è pressochè impossibile chi canti cosa, se non in rarissimi casi.
Si passa da voci più cristalline, nitide, squillanti ad altre più roche e profonde, il tutto in un bel mix variegato e convincente, quando più quando meno anche a seconda dei gusti personali, fino a giungere alla bella cover degli Helloween "Sole Survivor" che allieta in maniera particolare il finale.
Da una parte fa un po' stranno questo pout-pourrì di suoni, uno non fa in tempo ad abituarsi ad un class-prog che poi tutto d'un tratto arriva la deflagrante "
Wrath of the Pharaoh" ed allora boh? Ma tutto sommato come detto il risultato è quello che conta, di sicuro non è un disco che fa annoiare.
In definitiva un altro buon disco per i
Signum Regis, che senza dubbio riesce a superare i valori espressi dai primi due: se siete adoratori di questo genere musicale troverete un buon album da parte di una discreta band che non spicca per un songwriting illuminato o una personalità spiccata ma che raramente fallisce e delude, se si sa bene cosa aspettarsi da loro, e che nell'occasione si arricchisce di mille comparsate fatte bene che alzano l'asticella.
Certo se tutti i brani fossero stati della portata di quella scatenata doppietta e "
Song of Deliverance" allora staremmo parlando d'altro, ma per i
Signum Regis va bene così.
Ed anche per noi!
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