Ad un solo anno di distanza dal precedente ed omonimo lavoro, i
Kill Devil Hill tornano per proseguire quel discorso fatto di heavy, hard e un po di doom rock espresso col buon album d'esordio.
Vinny Appice e
Rex Brown li conosciamo bene e possiamo contare ciecamente sulla loro bravura e solidità, un ulteriore conferma invece viene del cantante
Dewey Bragg (ex-
Pissing Razors) e dal bravissimo chitarrista
Mark Zavon (ex-
W.A.S.P.). Cos'è cambiato dal precedente lavoro? Direi nulla.
Revolution Rise è la naturale prosecuzione senza innovazione alcuna del sound forgiato dal quartetto, che è in larga parte debitore di quanto fatto da
Alice in Chains,
Creed e
Black Label Society. Somiglia anche, come disse il buon
Sbranf in occasione del disco precedente, a quanto proposto dai contemporanei
Adrenaline Mob. Finche siamo nella fase "paragoni" ci metto personalmente dentro anche i
Megadeth di
Countdown e
Youthanasia.
Riff ben costruiti, pesanti e pieni di groove che ti si incrostano nella corteccia celebrale, e non riesci ad evitare di seguire le canzoni con la tua air guitar (il modello sceglietelo voi), roba semplice ma di classe e che funziona dannatamente bene. L'umore delle canzoni cambia spesso anche all'interno del medesimo brano e la band va a cercare suoni e soluzioni differenti per sottolinearlo. Parti vocali mai banali, fortemente sentite ed ispirate che dipingono linee melodiche impossibili da non cantare, e pazienza se l'ombra di
Layne Staley viene spesso fuori, i
Kill Devil Hill sanno di non essere originali ma sono altrettanto consapevoli di essere fottutamente in gamba. Le canzoni hanno un marchio ben definito e sono facilmente riconducibili al gruppo fin dal primo ascolto ma, va detto, hanno una certa omogeneità di fondo. Sebbene passino da spunti modern metal ad altri classicamente hard 'n' heavy, la velocità dei brani varia dal mid tempo all'up tempo senza mai sfociare nella velocità pura. Dopotutto il buon
Vinny non è mai stato un fulmine di guerra, è invece in possesso di un tocco pesante e preciso. Divagazioni batteristiche a parte, sarebbe sbagliato (come sempre) dare un valore questo disco solo in base al voto qui a destra.
Se è vero che l'originalità non è l'elemento principale del gruppo, è altrettanto vero che scrivere delle canzoni belle, semplici e che funzionano bene non è facile, soprattutto di quelle che una volta finito il disco ti fanno venir voglia di riascoltarlo. Provate a metterlo in macchina e ve ne accorgerete.
Due sono i pezzi che la band ha reso disponibile in rete e che vi riporto sotto, potrete così saggiarne direttamente la bontà, anche se la mia preferita rimane
Leave It All Behind. A proposito, aspetta che me li vado a riascoltare...