Forse è vero, come sostengono in molti, che il
crossover non ha mantenuto pienamente quello che, in un certo momento storico, sembrava promettere, e se la colonna sonora del terzo millennio assomiglia molto a quella degli anni settanta / ottanta, è pure probabile che qualche piccola “responsabilità”, da ricercare nei settori empatia e (coerente) rinnovamento, sia da attribuire specificamente al suddetto genere, anche volendo tener conto delle attenuanti generiche legate alla
normale ciclicità delle “mode” e dei gusti del pubblico.
Ciò non toglie, però, che ci siano gruppi come questi
Madwork ancora capaci di tenere accesa la fiamma della contaminazione intelligente, con un approccio estroso ad una materia in cui dosi sapienti di
metal,
industrial,
new-wave e
alternative riescono a conquistare i sensi e a manifestare efficacemente tutto il disagio di una generazione piena di rabbia e d’inquietudini, solo leggermente mitigate da un pizzico di languida malinconia.
Già apprezzati ai tempi dell’ottimo “Overflow“, i piemontesi si rivelano oggi come un
meccanismo oliato e molto determinato, dove convivono la marziale brutalità dei Rammstein, la cupa spigliatezza dei Depeche Mode, la scintillante schizofrenia di Korn e SOAD e la scaltrezza
alternativa dei Linkin Park, il tutto incastonato in un quadro complessivo convincente e coinvolgente, sebbene talvolta vagamente “prevedibile”, o quantomeno, per meglio dire, a tratti un po’ meno creativo di quanto era lecito aspettarsi dopo il promettentissimo lavoro del 2005.
Un’evoluzione evidentemente sacrificata (in minima parte, lo ribadisco …) sull’altare di una maggiore “consapevolezza” artistica, per un “Obsolete”, in definitiva, impossibile da trascurare per chiunque ami il genere e voglia godere di tre quarti d’ora abbondanti di note allucinate, potenti, aggressive e accattivanti, con i “maestri” impressi nella memoria e una notevole sensibilità nel fornirne una trascrizione adeguatamente carismatica.
La voce e le capacità interpretative di Beppe "Jago" Careddu sono una sicurezza supportata ad arte dall’affilatura delle chitarre di Christian "Red Oni" Rosso, ma senza i
samples suggestivi di Luca "Binko" Bincoletto e una sezione ritmica pulsante e poderosa, pezzi come l’intensa “Bleeding out again”, la conturbante e magnetica “Traum” o l’affabile e psicotica "Hide & seek”, difficilmente avrebbero avuto la stessa incisività emotiva, dimostrando l’assoluta compattezza della capace coalizione torinese-astigiana.
Buone notizie arrivano altresì dalle scorie cibernetiche di “Another beautiful lie”, dall’
espiazione in salsa
synth-pop di “Redemption” e da “His master's voice”, una “perla nera” morbosa e drammatica, mentre sono certo i
fans del
nu-metal made in Bakersfield proveranno un sussulto particolare durante l’ascolto di “The lucky hand” e gli estimatori degli armeno-statunitensi più famosi della scena troveranno qualcosa dell’attitudine dei loro beniamini immersa nei gorghi sintetici di “Butterfly blades”, sepolta nelle vibranti tensioni di “Sold out paradise” oppure magari latente nello
spleen invincibile di “Rain” (a cui contribuisce lo
special guest Kevin Moore), tutti palesi esempi di una lezione assimilata e non pedissequamente ripetuta.
In conclusione, i Madwork si confermano una
band superiore alla media e bene ha fatto la attenta (e non solo nell’ambito “classico”, dunque …) Underground Symphony ad accoglierli nella sua gloriosa scuderia … a voi non resta che sostenere l’intera operazione come merita.