La Fabbrica dei Savatage riapre i battenti, e a breve distanza dall'uscita del mediocre disco solista di Caffery arriva il nuovo progetto di Jon Oliva. Stupisce parzialmente che la formazione che accompagna il corpulento compositore americano sia la stessa dei Circle To Circle, band in cui alla voce milita Zackary Stevens, ex cantante dei Savatage; dal momento che da anni siamo abituati ad una rimescolio continuo di membri nuovi e vecchi della "scuderia O'Neill" in plurimi progetti musicali. Trovo discutibile quanto avviene semplicemente alla luce del calo qualitativo che affligge tutte le uscite della "scuderia", Savatage in primis.
Tage Mahal stilisticamente si colloca a metà strada tra Poets & Madmen, ultimo disco dei Savatage, e le parti più sinfoniche dell'impareggiabile Streets, e nel complesso è un discreto album. I pregi risiedono sicuramente nel carisma infinito di Oliva che pur essendo solo l'ombra del cantante che era 20 anni fa, riesce a rendere interessante ogni strofa grazie ad una grande carica teatrale e all'utilizzo di cori pomposi che lo sorreggono nei momenti di maggior difficoltà. Sorprende anche il suo distacco totale dalle tastiere, tutte eseguite da John Zahner, ma la band che lo accompagna è di tutto rispetto, anche se rimane piuttosto difficile giudicare un gruppo che è in tutto e per tutto Savatage, pur non avendo nessun membro della band americana nella propria line up.
Le tracklist è un continuo alternarsi di buoni pezzi, come l'opener, "Slipping Away", la suggestiva "Walk Alone", la rapsodica "The non sensible ravings of the lunatic mind", "Father, Son, Holy Ghost"; e altri momenti decisamente più deboli che peccano per ispirazione e prolissità. Qualche novità si trova in un brano come "Nowhere to Run", a cominciare dalla presenza dietro le pelli di Steve Walchoz, una vecchia cara conoscenza che ci allieta del suo drumming anche su "No Escape". Simpatica l'avventura tentata da Oliva in "People Say", il cui testo è composto dai nomi delle più famose canzoni dei Savatage, e in cui ad un certo punto emerge un tapping che non può ricordare uno dei più grandi chitarristi che abbia mai solcato la scena metal: Criss Oliva.
Nel complesso Tage Mahal è sicuramente un album impegnativo, che si lascia comprendere solo dopo molti ascolti, ricco com'è di influenze progressive e di alternanze tra pezzi teatrali e sfuriate metalliche. Peccato che quei cinque o sei brani poco ispirati rovinino un disco che altrimenti sarebbe risultato ottimo.
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