Gli
Zodiac hanno tutto quello che serve per attrarre istantaneamente l’attenzione dei cultori del cosiddetto
retro-rock:
look semplice e “giusto”,
monicker e presentazione grafica dei loro prodotti musicali seducenti e dalle implicazioni velatamente esoteriche, il tutto accompagnato da un discreto
hype, che li consegna alla scena di riferimento con i connotati di una “nuova sensazione” germanica di settore.
Tutta “roba” che, in realtà, non fa che aumentare il mio congenito “scetticismo”, in un momento storico in cui certi suoni sono tornati in auge e in cui, come spesso accade quando qualcosa diventa (o sarebbe meglio dire “ritorna” …) di “moda”, è sempre difficile raccapezzarsi.
Ebbene, proprio perché inizialmente piuttosto sospettoso, mi sento di consigliare caldamente, anche ai più smaliziati estimatori del genere, l’ascolto di “A hiding place”, un album che di primo acchito può sembrare “uno dei tanti”, ma che molto presto inizierà a “molestarvi” in maniera subdola e irrefrenabile, attraverso una musica sofferta, intensa, che vibra nelle ossa e si conficca nel cuore con “armi” antiche e non per questo meno
temibili ed efficaci.
Chiamatela “anima” o semplicemente una notevole capacità nel mutuare gli insegnamenti dei maestri (nello specifico, Led Zeppelin, Free, Humble Pie, Deep Purple, Thin Lizzy, Lynyrd Skynyrd e James Gang, innanzi tutto …) e appropriarsene, in ogni caso i ragazzi di Münster, capitanati da un
vocalist alquanto espressivo e da chitarristi intrisi di Clapton, Beck, Trower e Kossoff, dimostrano di dominare con naturalezza esemplare la materia, rendendo la “nostalgia” un sentimento tuttora vitale e costruttivo.
La “perfezione” non c’è ancora, invero, e anche se i vari The Answer, Rival Sons e Free Fall, possono contare, al momento, su un pizzico di superiore tensione emotiva nel
songwriting, è innegabile che un brano come “Free”, un gioiellino di seduzione melodica e passionalità, non si riesca a realizzarlo se non si possiede il “fuoco sacro” dell’empatia tra le proprie qualità artistiche.
A meno di un’incollatura dall’acme dell’opera si collocano poi la frizzante “Downtown”, la felpatura focosa e
funkettosa di “Underneath my bed”, le scosse elettriche di “Moonshine” (bellissimo il
break in “crescendo” …) e dell’accattivante “I wanna know”, mentre tocca alla melodrammatica "Leave me blind” e al vellutato
psych-blues “Believer” svelare il lato malinconico e spirituale del gruppo, con un Nick Van Delft particolarmente a suo agio pure in questo specifico ambito interpretativo.
Qualora, infine, siate tra quei
rockofili che anche dalle
cover sanno trarre indicazioni utili a determinare il valore di una formazione musicale, sono certo che il modo in cui i teutonici trattano “Cortez the killer” di Neil Young ve li farà apprezzare ulteriormente, constatando le doti innate di chi conosce bene il significato dei termini devozione, ispirazione e sensibilità.
“
This original stereo recording should be enjoyed at maximum volume”, recita la “vezzosa” scritta sulla bizzarra copertina del disco … accettate ”l’originale” suggerimento e godrete di un suggestivo tuffo nei
seventies, il quale, magari, vi farà venire contemporaneamente la voglia di rispolverare qualcuno dei suoi
veri protagonisti … nel caso, un altro merito da ascrivere agli Zodiac e a tutti quelli che, come loro, stanno dando prova di saper rivisitare con la necessaria autenticità e vocazione un’epoca leggendaria e,
ahimè, nonostante gli sforzi, fatalmente irripetibile.