Ci sono musicisti che sembrano aver capito tutto del
rock n’ roll, che ne hanno carpito il “segreto” più recondito e riescono a cucinare piatti sempre succulenti ed energizzanti mescolando ad arte ingredienti rimasti pressoché inalterati da tempo immemore.
Uno di questi è sicuramente Nicke Andersson, un artista che con gli Entombed ha saggiato l’evoluzione oltranzista e mortifera del settore, per poi tornare alla sua versione maggiormente autoctona, prima con gli Hellacopters ed oggi con questi
Imperial State Electric, da valutare, in ultima analisi, come una trasposizione ad accentuata
catchiness della sua esperienza precedente.
La semplicità con cui il gruppo sforna uno dopo l’altro gioiellini in note istantanei e travolgenti è davvero disarmante e nella “scena” non credo siano in molti a saper trattare con la medesima dovizia e freschezza,
hard,
beat,
punk,
garage e
pop, ottenendo risultati così focalizzati e coinvolgenti.
Insomma, se conoscete il lavoro passato della
band (due dischi in studio all’attivo …) e il loro notevole valore, non potrete lasciarvi sfuggire questo “Reptile brain music”, ennesima conferma di un’attitudine e di un’incisività nel
songwriting implacabili, mentre a chi, viceversa, fosse ancora digiuno di queste corroboranti squisitezze svedesi, consiglio l’immediato contatto, con l’avvertenza però di un elevato rischio di
strisciante “contagio”, capace di assoggettare anche il più “puro” e smaliziato dei rockers.
E allora addentriamoci in questi bollenti trentaquattro minuti di musica privi della benché minima pausa … tra frizzanti
glam n’ roll (“Emptiness into the void”, “Nothing like you said it would be”), melodie irresistibili (“Underwhelmed”), assolute gemme soniche impreziosite da inclusioni di marca Thin Lizzy ("Faustian bargains”, “More than enough of your love”, “Eyes” e “Down in the bunker”) e sconfinamenti
garage (“Reptile brain”), sarà davvero difficile compilare delle classifiche di merito.
Con l’aggiunta di crepuscolari atmosfere
sixties (“Dead things”), virili
hard-rock (“Apologize”), mirabili celebrazioni Kiss-
iane (“Stay the night”) e divertenti dissertazioni
cow-punk (“Born again”), la suddetta impresa diventa, infine, pressoché irrealizzabile, per la soddisfazione dei tanti cultori del genere e l’invidia di molti “colleghi”, che pur impegnandosi strenuamente, non hanno ancora svelato “l’arcano” e per questa ragione non sono in grado di eguagliare la straordinaria forza espressiva e la viscerale disinvoltura interpretativa degli Imperial State Electric …
oibò, mi viene un dubbio … non sarà mica che dietro a tutta la faccenda ci sia quel vecchio cacciatore di anime (ultimamente non troppo indaffarato, mi sa tanto …) di
Belzebù?
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