In franchezza, avrei assegnato volentieri un votone all’ultima fatica dei
Descend Into Despair, che hanno tutta la mia stima per aver dedicato, nel 2012, il singolo
Hierophant Of The Night al compianto
B (anche noto come
Nattdal), compositore e leader dei fenomenali
Lifelover.
Ahimè, il crudele ruolo del recensore impone obiettività, e m’impedisce di andare oltre una pur larga sufficienza.
Ma non precorriamo i tempi: per ora segnaliamo che il giovane gruppo rumeno, originariamente un duo composto dai soli
Alex Cozaciuc e
Denis Ungurean, ha ampliato la line up e accolto nelle proprie fila due nuovi membri. Purtroppo, fra essi non figura ancora un batterista umano; così, come nell’interessante (seppur molto acerbo) Ep d’esordio
Vanity Devotion, bisognerà accontentarsi di una drum machine.
In attesa che la campagna acquisti completi la formazione, vediamo come se l’è cavata il quartetto col primo full length, che è anche qualcosa di più che full: sette canzoni spalmate su due cd, per una durata complessiva di 92 (!) minuti.
Non paghi, i nostri decidono di cimentarsi in un concept, focalizzato sulla misteriosa figura del
Portatore di Tutte le Tempeste ritratto nella copertina. Le composizioni, stando alle parole della band, altro non rappresentano se non le tappe del suo viaggio.
Viaggio tribolato, possiamo azzardare: attraverso un funeral doom di chiaro stampo sinfonico, che punta molto su melodie e orchestrazioni, i
Descend Into Despair ci conducono in un mondo privo di luce e felicità, dove la rabbia è sfumata da tempo lasciando il posto a una cupa rassegnazione.
In
Bearer Of All Storms non rinverrete livore, ma lutto, desolazione e tragedia.
Il riffing, catacombale quanto classico nel suo evidente richiamo ai maestri
Skepticism, fornisce la struttura portante ai brani, sulla quale si innestano un growling profondo e numerosi interventi delle tastiere, cui viene demandato il ruolo di fornire la necessaria coloritura emotiva ai passaggi chiave.
Per neutralizzare il rischio del tedio, si è deciso di puntare sulla varietà delle soluzioni: oltre ai già citati elementi sinfonici, nei solchi dei due dischetti trovano spazio evocativi passaggi acustici, partiture ai limiti del prog rock e commistioni con il death (
The Horrific Pale Awakening), con l’ambient rituale e col folk (
Triangle Of Lies,
Plânge Glia De Dorul Meu).
Spunti interessanti, ammassati soprattutto nella seconda metà del lavoro, che purtroppo convivono con ingenuità e con momenti tutt’altro che memorabili: è il caso dell’opener
Portrait Of Rust, il cui titolo fotografa alla perfezione il lavoro poco brillante delle asce, o dell’impacciata strofa di
Mirrors Of Flesh, o ancora di
Pendulum Of Doubt, che parte bene ma si arena nella porzione centrale, laddove l’arrangiamento vocale doppiato in clean fa sì disperare, ma per i motivi sbagliati.
Peccato, poi, che un sound potenzialmente così sfaccettato e complesso venga svilito da una produzione scarna, che spesso dissipa il tesoretto di atmosfera che le canzoni riescono con fatica ad accumulare.
Ho fiducia che i
Descend Into Despair sapranno continuare a crescere e migliorarsi, valorizzando al meglio le loro indubbie qualità; ad oggi, tuttavia, mi sento di consigliare il loro
Bearer Of All Storms solo ed esclusivamente ai (pochi) cultori e collezionisti del genere. Gli altri, piuttosto, virino sui
Tempestuous Fall.