Siamo dunque arrivati a questa nuova uscita discografica dei
Sonata Arctica. L'attesa per i fans è così finita ed i giudizi cominciano a fioccare per Kakko&C. Le aspettative erano altissime e, da quello che era circolato, sembrava che il gruppo finlandese stesse mirando ad un ritorno alle origini, forse per i troppi buchi nell'acqua con gli ultimi album e un po' per riportare verso di sé i supporters che si erano leggermente allontanati a causa degli esperimenti abbastanza rischiosi tentati sin dai tempi di
Unia.
Proprio con la release appena nominata è cominciata la separazione fra il sottoscritto e i
Sonata Arctica, a mio parere sempre meno capaci di riprodurre opere d'arte come
Ecliptica e
Silence, spostandosi sempre più verso lidi approssimativamente pop e ingiustificatamente meno metal.
Le emozioni che suscitavano canzoni come
Full Moon,
8th Commandment,
Letter to Dana,
The End of this Chapter e via dicendo sembrano oramai essersi dissolte nei meandri della memoria della band finlandese e del songwriting di Kakko, proponendo delle cosiddette canzoni come
I Have A Right (che mi da i brividi ogniqualvolta mi arriva alle orecchie).
Desideravo, agognavo, questo
Pariah's Child e il suo contenuto, ed ancora adesso, dopo innumerevoli ascolti non ho al momento capito cosa abbiano tentato di fare i
Sonata Arctica.
Un ritorno malfatto al passato? Un nuovo esperimento? Un album scritto in fretta e furia per non farsi dimenticare di esistere? Ebbene il gruppo finlandese non è equiparabile a quegli scrittori ottocenteschi che, pressati dai debiti e dai vizi, sfornavano capolavori con velocità impressionante, senza pensare, senza respirare. Kakko&C. stanno pagando dazio a Dio dei loro iniziali capolavori, dei loro primi e indimenticabili successi, avviandosi ad un lento ed inesorabile smorzamento, la fiamma delle idee si sta indubbiamente affievolendo, la luce è fioca, urge drastico cambiamento di rotta. I
Sonata Arctica possono e devono fare di più. Con
Pariah's Child si nota un ritorno alla melodia spiccia, senza troppe elaborazioni, e, secondo il mio modesto parere, questo tentativo di non rischiare più di tanto è ancor più riprovevole di quegli esperimenti
post-Reckoning Night assolutamente non riusciti. Un discreto o un più che sufficiente non è adatto a questa band, dalle ancora enormi potenzialità inespresse, composta da musicisti fenomenali e da un cantante con una delle voci migliori degli ultimi vent'anni nel panorama metallico.
Questo disco è paragonabile ad un gigante vecchio ed affannato, che, siccome non è più in grado di compiere le imprese eccezionali per cui lo si conosce, si limita a ripercorrere i suoi passi, a compiere azioni abituali non degne di nota. Oltretutto a sostenere questa release c'è soltanto il lavoro vocale di Kakko, che è inutile lodare, tanto da lui si sa sempre che la prestazione sarà sempre ottima. Tuttavia il songwriting spiccio, debole e ansante soffoca
Pariah's Child dall'inizio alla fine.
La dimostrazione di tutto questo è data già dall'opener
The Wolves Die Young (altro richiamo al passato sia sulla copertina che su questo brano) flebile mid-tempo che fa pensare a dove sia finito quel gruppo in grado di trasmettere allegria e irrefrenabile gioia con pezzi come
Black Sheep. Il tutto è sin troppo scontato, già sentito. Con
Running Lights si tenta quel ritorno al power sfrenato, doppia cassa scatenata, melodie orecchiabili, chorus superato.
Take One Breath mi è sembrato forse uno dei pochi pezzi freschi e notabili in
Pariah's Child, forse da qui i Nostri sembravano (o potevano) rialzarsi. Caduta inesorabile invece con
Cloud Factory che sembra una sigla di un cartone animato di serie zeta, persino irritante.
Blood è anch'esso un capitolo accettabile di questo lavoro, ma con
What Did You Do in the War, Dad v'è un'altra caduta di stile salvata dalla sola prestazione di Kakko.
Half a Marathon Man è incommentabile, si gioca sempre su motivetti orecchiabili dal ritmo hard-rock. Con
X Marks The Spot nemmeno la voce aiuta a salvare la performance dei
Sonata Arctica, quei pezzettini semi-parlati, quasi rappati fanno veramente voltare lo stomaco, inascoltabile.
Love è da saltare a piè pari perché si sa che il gruppo finlandese è maestro nel scrivere ballad, skip-track.
Larger Than Life (quanto cavolo è lunga questa canzone?) conduce nel reame incantato di "quando-diavolo-finisce-sto-disco" facendo ansimare e rigirare l'ascoltatore in preda alla noia più estrema.
Alla fine di
Pariah's Child si resta veramente con un grosso punto di domanda nella testa, non si riesce chiaramente a capire cosa i Sonata Arctica abbiano tentato di fare. Ci sono un paio di buoni episodi, ma il resto è indecifrabile. È ora per Kakko&C. di tornare sulla terra e, se vogliono restare su un altro pianeta, abbiano la decenza di cambiare genere.