Closure, an idea inside your head.
E
"The Memory of a Madman", primo lavoro sulla lunga distanza dei torinesi
Closure, è decisamente uno di quegli album che ti entra nella testa, rovista pretenziosamente e, quando ne esce, stai sicuro che s'è portato via qualcosa. Ma stai altrettanto sicuro che ti ha lasciato qualcosa d'altro, qualcosa su cui riflettere, stralci di pensiero da rimettere insieme per formare qualcosa di più grande.
Un concept, un concept intrigante e basato sulla figura di Mark Mullighan, che potrebbe sembrare il classico internato da manicomio..ma c'è qualcosa di più. La mente di Mark è tormentata, ma è altrettanto lucida da partorire pensieri disturbati sulla propria condizione.
“Guardaci Edwin, tu sei lo psichiatra ed io il paziente, ma dal momento che tutti e due portiamo un camice dimmi..dov’è la differenza?”Lo stesso discorso si potrebbe fare sui brani che compongono il disco: le differenze sono minime e allo stesso tempo enormi, ma il filo conduttore è unico e si dipana in maniera grandiosa sui quasi 60 minuti che dobbiamo goderci per poter apprezzare appieno tutte le potenzialità dei Closure, potenzialità enormi sia dal punto di vista meramente tecnico sia da quello della maturità del songwriting. Porcupine Tree, ultimi Anathema, prog anni '70, un tocco di psichedelico che non guasta mai..ecco la ricetta vincente dei torinesi.
"The Memory of a Madman" non è affatto un album di semplice assimilazione. Non è sufficiente un ascolto distratto per apprezzarlo ed è impossibile cercare di capirlo basandosi su una canzone soltanto. E' un'opera unica e inscindibile e come tale dev'essere trattata, anche solo per rendere atto al lavoro certosino e di qualità sopraffina dei
Closure. Per citare il Duca-Conte Diego Catellani di fantozziana memoria:
"Il vostro è culo, la nostra è classe, cari i miei coglionazzi!". E che classe.
Quoth the Raven, Nevermore..
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