E’ opinione abbastanza diffusa tra i
fans del
metal tricolore che sia il mini “Heavy and dangerous”, gratificato dal suono ombroso e carismatico della chitarra di Mario "The Black" Di Donato, il vero apice creativo degli
Unreal Terror, formazione pescarese (prima con la denominazione UT) da annoverare tra i
prime mover della scena
rock italica, così ricca di talento e di
naiveté.
Personalmente, invece, pur apprezzando la viscerale originalità di quel debutto, ho sempre avuto un “debole” speciale per “Hard incursion”, il primo
full-length della
band, in cui esordiva un giovanissimo Giuseppe Continenza, musicista privo di grande esperienza ma ricco di quelle doti d’inventiva e di tensione espressiva necessarie ad una sostituzione così “impegnativa”.
Assieme alla brillante
new entry, gli abruzzesi sfornano un poderoso album di metallo “tradizionale”, tra solide fondamenta Priest / Maiden-iane, bagliori di U.S.
metal e pulsioni
speed, in grado di ostentare una capacità di composizione tanto “familiare” quanto istintiva e sufficientemente personale, tradotta in nove coinvolgenti canzoni attraverso una preparazione tecnica e un’energia interpretativa di alto livello.
La voce di Luciano Palermi (e con l’occasione ricordiamo anche il suo predecessore Ben Spinazzola – con cui il gruppo registrò un
demo nel 1981 - oggi
vocalist dei Prime Target, di cui abbiamo recentemente parlato su queste stesse colonne …) è avvincente, aggredisce con la sua timbrica impetuosa e flessuosa l’astante fin dall’adrenalinica
opener “Fighter”, emergendo da una produzione “sottile” che nemmeno la ri-masterizzazione operata dalla Jolly Roger Records è stata in grado o ha voluto (più probabilmente … dacché sarebbe stato “snaturante” intervenire in maniera pesante sul suono …) correggere.
Eh già, perché è grazie alla label modenese che un
Lp pubblicato in origine su Speed Records (in cui lavorava un
imberbe Marco Melzi, poi
boss della Minotauro e della Markuee, nonché figura di spicco del
metalrama nostrano …) nel 1986 e diventato pressoché introvabile, ha la possibilità di essere ascoltato da tutti gli appassionati del settore, avvertendoli, però, che “Hard incursion” era e continua ad essere il frutto di un’epoca in cui gli studi di registrazione italiani non avevano spesso le necessarie conoscenze e la professionalità utili a far “suonare” in maniera nitida e consistente questo tipo di musica.
Ciò detto, a beneficio soprattutto di chi appartiene alla
Pro Tools generation, continua la breve dissertazione sulla
track-list con la più articolata, enfatica ed esotica “Topkapi” e con la malinconica “At the end of the last chapter”, idonee a svelare le sfaccettature inventive ed emozionali di un gruppo che non si affidava solamente alla forza “bruta” per la sua esposizione artistica.
Con le atmosfere incombenti di “Iron curtain” e l’incalzante “Pulling the switch” (inclusa nella
compilation “Rock meets metal - Volume II”, griffata Ebony Records) si ritorna su terreni decisamente più granitici, mentre tocca a “Lucy cruel” svelare il lato maggiormente
classy degli Unreal Terror, capaci poi di piazzare “sul filo di lana” altre due notevoli randellate
epico-metalliche, denominate “Brain washing” e “Waiting for the light”.
Con il breve
blitz aereo della
title-track strumentale si concludeva la scaletta originale, qui addizionata di quattro interessantissime
bonus (registrate nel 1987 come
promo per un terzo disco su MetalMaster che non vide mai la luce), che aumentano ulteriormente il rammarico per quello che avrebbe “dovuto” succedere e che invece non accadde.
“Black belt”, “Ship of fools”, “Pegasus myths” e “Giant of the sea” evidenziano un altro
step evolutivo nella storia della formazione, ormai dotata di una scrittura davvero sicura e orientata ad una forma sempre più inossidabile e composita di
H.M. dai risvolti caliginosi ed eroici, al suo apice soprattutto negli ultimi tre dei succitati brani.
Gli Unreal Terror si sono riformati alla fine del 2011 per tornare ad esibire il loro potente
sound in importanti
live-shows, e nell’attesa che trovino anche l’ispirazione necessaria ad un lavoro d’inediti, non rimane che aggiungere questa preziosa “reliquia” alla propria discoteca e complimentarsi ancora una volta con la Jolly Roger Records per la sua benemerita opera di “archeologia” musicale nell’ambito delle bellezze “siderurgiche” del
Belpaese.