Piccola premessa: in una intervista con
Metal Hammer rilasciata poco prima la pubblicazione dell'album "
The Hunting Party", il cantante
Chester Bennington ha dichiarato che i
LINKIN PARK non sono una band metal.
La mia reazione a questa sua affermazione è stata più o meno la seguente: "
Caro Chester, è dal vostro terzo album che non siete più metal, mica c'era bisogno di puntualizzarlo adesso...".
La reazione di un qualsiasi lettore di questa webzine anche un minimo più "true" di me potrebbe essere invece stata: "
Perché? Lo siete mai stati?"
Partendo da questo presupposto, mi sono comunque avvicinato a questo "T
he Hunting Party" con poche aspettative e con grande diffidenza. La band americana, per il sottoscritto, vive ormai in una sorta di limbo tra l'amore per i primi due album, "
Hybrid Theory" (uno dei migliori debut album degli ultimi 15 anni) e "
Meteora", e la cocente delusione provocata dal terzo lavoro in studio "
Minutes to Midnight" e aumentata a dismisura dai successivi "
A Thousand Suns" e "
Living Things", che hanno portato nella mia mente il gruppo californiano quasi sulla porta del dimenticatoio.
Nonostante i proclami di
Mike Shinoda degli ultimi tempi, solite frasi del tipo "
E' il nostro album più duro" e "
Sono tornate le chitarre", la formula della band è sempre la stessa: una contaminazione tra il rap dello stesso
Shinoda e la voce pulita e a tratti urlata di
Chester Bennington (a proposito, prestazione pessima di quest'ultimo in molti brani), con un mix di chitarre più distorte e presenti che in passato, questo sì, a discapito dell'elettronica e degli inserti del DJ
Joe Hahn.
"
The Hunting Party" risolleva però solo in parte le sorti del sestetto americano, mantenendosi sulla falsariga dei precedenti tre album, troppo pieni di canzoni definibili semplicemente con un "
meh"
*.
Ecco esattamente cosa è questo nuovo album: un insieme di brani per lo più orecchiabili, molto più pop che rock nonostante l'indurimento delle chitarre, che però non riescono a fare presa sull'ascoltare ad eccezione di qualche episodio ("
Rebellion" su tutte, l'unica che mi trovo a canticchiare), e che nemmeno la serie di ospiti illustri riesce a risollevare. Ospiti che, purtroppo, non aggiungono nulla di trascendentale ai pezzi:
Page Hamilton degli
HELMET su "
All for Nothing" e
Daron Malakian dei
SYSTEM OF A DOWN su "
Rebellion" impreziosiscono le canzoni con le loro performance, ma non riescono a dare quel salto di qualità ai pezzi (forse nemmeno per colpa loro), mentre il rapper
Rakim fa il compitino (sovrastando comunque la prestazione di
Shinoda nel resto dell'album) e
Tom Morello dei
RAGE AGAINST THE MACHINE si trova a collaborare su "
Drawbar", pezzo a mio avviso inutile e poco significativo.
Che si tratti di un esperimento o meno, partito già dalla fasi di registrazione e produzione, questo "
The Hunting Party" rasenta la sufficienza ma nulla di più, con la speranza che possa dare il via ad un ritorno alle origini per il sestetto della California. Speranza piuttosto vana a dire la verità.
* Una canzone "
meh" è una canzone che non piace ma che non fa gridare allo scandalo o allo schifo più totale, che al secondo ascolto trovi pure orecchiabile e quasi gradevole, che magari ti trovi a canticchiare se la ascolti, ma che appena passa il brano successivo è già stata dimenticata.