Guardando l'artwork del nuovo capitolo degli
Inanimate Existence ho temuto che avessero cambiato genere e fossi così rimasto orfano di una delle più valenti realtà in campo technical death degli ultimi anni. Per fortuna, la copertina che suggerisce un contenuto epico-sinfonico, è tutta un'illusione. Pazzesca realtà è invece la loro musica.
Dopo un debutto folgorante nel 2012 in cui i nostri sono riusciti a non rendere stancante quasi un'ora di death tecnico dalle mille sfaccettature, il nuovo
A Never-Ending Cycle of Atonement è fatto di un numero minore di canzoni, più lunghe, ma con una inferiore durata totale. Il disco presenta una prima sezione in cui possiamo godere di pezzi violenti ma, come nel loro stile, progressivi ed infarciti di essenziali parentesi acustiche, variazioni strumentali e cambi di umore che sono vere boccate d'ossigeno prima che i californiani si lancino di nuovo in blast beat e latrati scarnificanti.
Vorrei parlarvi approfonditamente di ogni canzone ma faremmo notte elencando tutti gli episodi interessanti e sottolineando continuamente la genialità di questa band. Premete play qui sotto, fatevi abbattere da
The Runes of Destruction e pensate che questa traccia non è un caso isolato. Il disco intero è un meraviglioso ed ordinato (nel suo apparente caos) insieme di deliziosi e letali fraseggi compiuti da chitarre sempre ispirate e mai banali, protagoniste sia di assoli fantasiosi che di carezze acustiche, supportate da leggere tastiere e sporadici archi che fanno la loro apparizione soprattutto nei momenti più tranquilli. Ma chiariamoci, non è un disco da signorine eh! C'è tanta violenza, un vocione ruggente doppiato in parecchie occasioni da una seconda traccia scream, generando un effetto vagamente
Deicide a cui si affianca un lavoro di batteria inumano che riempie gli spazi con tecnica, classe e scarica una pioggia di blast beat devastante. E il basso? Ascoltate
Staring Through Fire e la sua violenta ed oscura poesia, ma mi raccomando, dopo esservi asciugati le lacrime per l'emozione, preparatevi per la seconda parte del disco. Due pezzi chiudono il lavoro, due brani calmi di cui vi segnalo gli oltre nove minuti di
Out of Body Experience, una traccia "delicata" piena di finezze e angoscia che, senza correre troppo, presenta inquietanti intrecci tra le chitarre sostenuti da un magistrale lavoro di basso e spezzati da una effettata voce pulita.
La forza degli
Inanimate Existence è quella di non far sembrare la loro proposta una vetta insormontabile, di non rendere stancante il loro complesso viaggio musicale, questo grazie alla loro varietà. Violenti ed oscuri come
Immolation, tecnici come
Necrophagist o
Decrepit Birth, fantasiosi come
Pestilence e con una bella spruzzata degli immortali
Death e
Nocturnus, che non fa mai male. Sembra un controsenso mettere così tanti elementi insieme ma quando sono bilanciati, hanno uno scopo e funzionano, dobbiamo solo goderne.