Iniziamo dal nome collettivo scelto da questa
band veneta … apprezzo l’idea che ognuno possa interpretarlo come preferisce (“
Fango siamo e come la musica ci plasmiamo? Siamo degli impavidi surfisti di “lahars”? Oppure siamo semplicemente ossessionati dal frutto femminile?” con queste parole, carpite nei meandri della Rete, i nostri forniscono indicazioni sul loro enigmatico
monicker …) e soprattutto, lo ammetto, mi piace come “suona”, fluido, incisivo e facilmente memorizzabile, proprio come ci si aspetta da un gruppo emergente di
rock alternativo, fatalmente stritolato dall’incredibile stagflazione che affligge il settore e in cui anche “dettagli” di questo tipo hanno un loro peso nell’attirare l’attenzione sempre più sollecitata degli astanti.
Ovviamente, poi, dietro a una bella “faccia” ci deve essere anche del “contenuto” e fortunatamente i
ClayToRide riescono a sostenere l’iniziale
captatio benevolentiæ con una formula musicale piuttosto intrigante, in grado di evocare suggestioni di Cure, Pearl Jam e Afghan Whigs senza renderle troppo pressanti ed esibendole innanzi tutto come un generico indirizzo da consegnare all’ascoltatore appassionato.
Prodotto da Mike 3rd, registrato in analogico negli studi della Prosdocimi Recordings e masterizzato dal noto Ronan Chris Murphy, “For his wine and chamber” è un lavoro abbastanza gradevole e scorrevole, realizzato con adeguatezza tecnica e buon gusto compositivo, ma che, in ultima analisi, non riesce a colpire pienamente nel “profondo”, lasciando che la tensione espressiva e le strutture melodiche “fluttuino” sulla superficie dei gangli sensoriali, quasi “esitassero” nell’affondare i colpi.
Un’eccessiva omogeneità e una mancanza di brani davvero catalizzanti che rischia di essere un limite rilevante nelle possibilità di “affermazione” del gruppo e che tuttavia non cancella le importanti qualità complessive dei ClayToRide, forse solamente ancora un po’ immaturi per rifornire il loro
rock di una risolutiva spinta emozionale e troppo poco “scaltri” per farlo diventare più “malizioso”, magari aggiungendo all’impasto sonoro un pizzico di superiore “ruffianeria”.
Segnalando in “Something in your shoes”, “Mexico”, “Ocean's return” e “Time” i momenti del disco capaci, in ogni caso, di condensare le sensazioni migliori, non mi resta che esortare i ragazzi di Thiene a proseguire nel loro percorso di “crescita” … una buona dose di talento c’è e i presupposti sono “giusti” … ora viene il “difficile” … trasformare il tutto in una forma di
empatia impossibile da trascurare.
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