A poca distanza dal precedente “Temple of doom”, da me recensito, torna il polistrumentista sloveno Igor Shimon con il suo progetto
Beneath the Storm.
Si conferma la proposta assolutamente alternativa di questo personaggio: lunghi percorsi strumentali tra drone e funeral doom, avvolti da atmosfere sinistre e tombali sospese tra una soundtrack horror ed un rituale esoterico. Lentezza sfibrante, massiccio uso di sampler, elettronica, drum machine, lugubri vocalizzi subliminali, per un disco di tipo esperienziale.
Purtroppo si riscontra lo stesso difetto della volta precedente: la monotonia. Anche se cenni di miglioramento possiamo coglierli, ad esempio nelle pesanti cadenze sludge dell’estenuante “Frozen”.
Non c’è dubbio che il musicista slavo provi con determinazione ad offrire qualcosa di diverso, particolare, avulso dai soliti canoni prevedibili, però il risultato è talmente ostico e cerebrale da poter interessare solamente una ristretta cerchia di cultori dell’estremo.
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