La voglia di
vintage sembra non subire flessioni negli impulsi del pubblico contemporaneo e ad appagare l’impellente necessità ci pensa nuovamente la Nuclear Blast Records, sempre molto attenta alle esigenze del mercato e, bisogna ammetterlo, piuttosto abile nel sostenere le band più preparate nella difficile gestione del diffuso
revival sessanta / settantiano.
La nuova proposta della
label tedesca nell’ambito si chiama
Blues Pills, e scoprire che nonostante le origini multietniche (svedesi-franco-americane), il gruppo ha la sua base operativa ad Örebro, costringe ad interrogarsi ancora una volta su quale “mistero” si celi dietro ad una concentrazione così elevata di brillanti interpreti del settore in un’antica cittadina boreale di centocinquantamila anime.
Agevolazioni dovute ad oculate forme d’investimento statale nello sviluppo della cultura, un processo d’emulazione innescato dalla risposta positiva della comunità
rockofila ai primi segnali del fenomeno, o forse pure un clima e ambientazioni favorevoli alle meditazioni “nostalgiche”, sono solo potenziali
indizi per un
enigma tuttora irrisolto, capace di fornire agli estimatori del genere gente come Witchcraft, Graveyard (trapiantati a Goteborg), Dead Man, Troubled Horses, Blowback, Asteroid e Truckfighter (tutti eredi “diretti” o “indiretti” dei capostipiti Norrsken) e che oggi con il quartetto in questione procura un altro brivido di soddisfazione agli appartenenti della suddetta categoria di ascoltatori, in particolare a quelli più inclini alle sonorità di Cream, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Fleetwood Mac, Jefferson Airplane e Led Zeppelin.
Circoscritto il perimetro delle influenze, diciamo subito che i Blues Pills sono una formazione assai genuina ed ispirata, profondamente radicata nei suoni del passato eppure in grado di non offrirne una trascrizione sterilmente imitatoria.
In tale contesto, impossibile non rimanere istantaneamente affascinati dalla voce passionale di Elin Larsson (accostata, in un tipico misto d’iperbole e riscontri oggettivi, a Janis Joplin, Aretha Franklin, Grace Slick, Ann Wilson e Mariska Veres …), ma sfido chiunque ami questa “vecchia roba” a non meravigliarsi per la tensione emotiva garantita da Dorian Sorriaux, un
francesino che titilla le corde della sua chitarra con la sensibilità e il fervore di uno smaliziato “uomo di blues”.
“High class woman”, "Jupiter”, " No hope left for me”, “Devil man” e l’elegiaca “Little sun” (e una menzione la merita pure “Gypsy”, una sorprendente
cover di Chubby Checker), sono probabilmente le tappe più incisive di un viaggio a ritroso nel tempo globalmente molto appassionante, che arriva a evocare le atmosfere del Monterey Pop Festival o di Woodstock per poi trasferirle fino ai giorni nostri, restaurate da una freschezza e da un’intensità tali da farle apparire “vere” ed emozionanti anche in un momento storico ben lontano dalle aspirazioni della cosiddetta “summer of love”.
A completare l’opera di suggestione contribuisce, infine, una splendida copertina lisergica firmata Marijke Koger-Dunham, un’artista che ha lavorato, tra gli altri, per Beatles, Cream, Procol Harum, The Move e The Incredible String Band … la richiusura di un “cerchio magico” che, nelle “mani” giuste, non perderà mai il suo atavico magnetismo.