Già dall’anteprima offerta nella
compilation ufficiale del
Frontiers Rock Festival si percepiva nettamente che questo “All the way”, debutto sulla lunga distanza degli
State Of Salazar, non sarebbe stato un disco come “tanti”, nemmeno in un momento storico piuttosto felice per le sonorità
AOR.
Troppo avvincenti le traiettorie cristalline disegnate da quel brano (che poi è anche l’irresistibile
title-track di questo
full-length), troppo intensa e suggestiva una costruzione sonora veramente degna di Toto, Survivor, Styx e Journey per essere un evento “occasionale” nella vicenda artistica di un gruppo che peraltro aveva fornito segnali incoraggianti pure nell’
Ep “Lost my way” del 2012.
Ebbene,
Signore e Signori,
chic-rockers di ogni livello “culturale” (in particolare quelli di “lungo corso”, spesso ipercritici e un po’ troppo “nostalgici” …), preparatevi a godere di una gemma di eleganza e tensione espressiva, realizzata da un manipolo di
giovanotti svedesi usciti dalla Malmö Academy of Music (e qui si capisce perché spesso gli scandinavi hanno una marcia in più …) per diffondere la loro passione per il suono “adulto” e magniloquente dei maestri succitati e convertirla in un autentico balsamo per l’anima di tutti gli estimatori del genere.
Impeccabili sotto il profilo tecnico, illuminati da una preparazione e da un’ispirazione tanto fulgida da saper incorporare i nomi di Balance, Orion The Hunter, Trillion, Michael Thompson Band e Chicago al proprio bagaglio d’influenze senza perdere una stilla di temperamento, gli State Of Salazar colpiscono nel segno scagliando con precisione una dozzina di saette melodiche realmente elettrizzanti, ostentando un equilibrio tra gli elementi molto vicino alla perfezione, come solo pochissimi “esordienti” hanno fatto prima di loro.
Dilatazioni sfarzose e ariosità armoniche, chitarre e tastiere,
pathos e
verve, tutto è dosato in maniera esemplare e incorniciato da una voce, quella di Marcus Nygren, che sembra stata “creata” proprio per queste cose, con una timbrica ammaliante in cui convivono felicemente quelle di Bobby Kimball, di Joe Vana e di Toby Hitchcock.
Accantonate gli svariati, spesso anche pregevoli, tentativi “d’imitazione” della scena contemporanea e affidatevi a “I believe in you”, “Field of dreams”, "Eat your heart out”, “Time to say goodbye”, “Catastrophe”, “Adrian”, ”End of time” e al resto dell’irretente programma, la presa emotiva sarà talmente attanagliante e immacolata da rendere davvero arduo il distacco.
In conclusione, la classica “ciliegina sulla torta” … un
artwork molto gradevole e spiritoso … a questo punto è proprio impossibile fare a meno di “All the way”.