In fondo, il
segreto del
rock n’ roll sono le canzoni.
Potremo discutere per ore di “originalità”, di “ispirazione” e di “attitudine”, tutti argomenti validi e spesso decisivi, però alla fine a fare la differenza sono sempre loro, le “canzoni”.
Ed è proprio questo imprescindibile elemento a rendere in primo luogo avvincente il
full-length di debutto (all’attivo anche l’
Ep “Face on the floor”, realizzato nel 2011 con il contributo di Sylvia Massy) dei padovani
Uncledog, per quanto mi riguarda la “sorpresa” più lieta di questo scorcio di 2014 in fatto di
post-grunge.
Una definizione stilistica (abbastanza “antipatica”, in realtà …) utile, se vogliamo, ad indirizzare genericamente l’ascoltatore, eppure non completamente esplicativa di un approccio artistico che, partendo da una verosimile cultura “classica” (“roba” tipo Purple, Heep, …), forte di un orientamento sufficientemente “progressistico” (evidente in certi intriganti interventi tastieristici), applica la lezione impartita dai padri spirituali Alice In Chains, Pearl Jam e Stone Temple Pilot e arriva a muoversi nello stesso ambito creativo di Alter Bridge, Creed e Incubus, riuscendo a non soffrire di opprimenti complessi d’inferiorità.
Dopo le necessarie indicazioni orientative, vorrei però riprendere il discorso iniziale affermando con convinzione che “Russian roulette” è un fulgido esempio di come ricerca armonica, fisicità e tensione interpretativa possono “trasformarsi”, grazie all’intelligenza, all’estro e alle capacità tecniche di un gruppo davvero interessante, in un manipolo di composizioni assolutamente riuscite e appassionanti, lontane dalle banalità e dall’eccessiva omogeneità ostentata da troppi esponenti del genere.
Difficile, infatti, non riconoscere qualità emozionali superiori a brani come “Always updated” (una grande e pulsante
hard-rock song del terzo millennio …), “Shiver” (una sorta di AIC vagamente “spensierati” …) e “Follow the sound” (impreziosita da un suggestivo tocco
heavy-psych), materiale veramente irresistibile fin dal primo contatto.
E a proposito di fascinazione “istantanea”, che dire di "Starry cloud” e di“Brother”, i momenti più melodici e “radiofonici” del disco, se non ammettere un’abilità innata nel risolvere con gusto e classe anche questa importante opportunità espressiva?
“Kick the law”, la favolosa "Tears in vain” e “Dying sun” svelano il lato maggiormente “sperimentale” della
band, arrivando ad avvicinarsi ad un ideale concetto di disinvolto
prog-grunge, mentre la
title-track dell’albo e "Peach” appaiono nell’insieme, volendo affidarsi ad un’analisi di tipo
sofistica, leggermente meno efficaci, all’interno di un programma che tuttavia lascia il segno senza eccezioni, in un misto di profonde scosse cardio-uditive e schegge d’orgoglio per un “emergente” italiano d’inconfutabile statura internazionale.
Dedicate una quarantina di minuti di tempo della vostra frenetica esistenza a questa “strana” forma di
roulette russa … sarete felici che si tratti di un’esperienza priva di colpi a vuoto.
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