Con gli Hibria la Remedy Records azzecca un altro buon colpo. Anzi, ritengo che questi brasiliani abbiano realizzato quella che per l'etichetta tedesca è, per questo 2004, la migliore uscita. E' subito evidente la scelta degli Hibria di puntare molto sull'aspetto tecnico, senza però andare a discapito dell'impatto Heavy (garantito anche dalla presenza al mix di Piet Sielck). Una scelta che li vede più facilmente accostabili al power/speed europeo, sopratutto quello teutonico, che a loro conterranei come gli Angra. Gli Hibria arrivano difatti da Porto Alegre, in Brasile, e dopo alcune uscite rigorosamente autoprodotte e diverse date live in Europa si sono fatti notare dalla Remedy Records. Ed ora eccoli qua con il loro debut album "Defying the Rules".
Si parte con la priestiana "Steel Lord on Wheels" ed è subito evidente la bravura di Iuri Sanson, cantante potente ed abile. Non gli sono da meno gli altri ragazzi del gruppo, i quali all'interno di ogni canzone riescono a piazzare spunti di valore, con il basso di Marco Panichi in grande spolvero, e se spesso si tratta di un lavoro più "oscuro", su "The Faceless In Charge" e sopratutto su "A Kingdom To Share" si ritaglia tutto lo spazio che si merita.
Sono invece le chitarre di Abel Camargo e Diego Kasper a richiamare i fasti ottantiani all'inizio di "Millenium Quest". Un gran brano, ben strutturato e mai banale, un pezzo che molte band più blasonate gli invidierebbero. Qui, come per quasi la totalità dei brani presenti su "Defying The Rules", a livello di assoli, solitamente ben sfruttati, i due axemen mostrano evidenti obblighi nei confronti dell'esempio Malmsteeniano.
Non saranno certo i primi (e nemmeno gli ultimi), eppure i due brasiliani riescono ad eludere con scioltezza il pericolo di far suonare tronfie e pedanti le proprie composizioni. Canzoni che invece convincono sin dal primo momento, ed allo stesso tempo danno garanzia di rivelare sempre nuovi dettagli ad ogni successivo ascolto.
La tellurica "Defying The Rules" si apre sul drumming di Savio Sordi, giusto per ricordare che negli Hibria c'è anche lui. Sembra, infatti, di trovarsi di fronte a musicisti dalla forte individualità che riescono a coesistere senza difficoltà. Un ottimo lavoro d'assieme che ha il suo culmine nella conclusiva "Stare At Yourself", dove gli Hibria si dilettano con cambi di tempo e passaggi intricati.
L'unico appunto si può rivolgere all'artwork, un punto debole su cui la Remedy deve davvero migliorarsi, ma tutto il resto lo bilancia esaurientemente.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?