Definirmi un mago dei pronostici sarebbe quantomeno inappropriato, ma quest’anno me la sono cavata meglio del solito.
Giusto per citare un paio di esempi:
- nella recensione dell’ultimo
Allegaeon azzeccai la vittoria della
Germania ai Mondiali;
- prim’ancora di ascoltare
Citadel avevo scritto sul foglietto di brutta “
mio personale disco dell’anno”.
Ok, ho puntato su due squadroni (mica
Italia e
Massive Addictive degli
Amaranthe, per dire), ma mi reputo comunque soddisfatto.
Sono altresì felice che i
Ne Obliviscaris siano riusciti nell’arduo compito di portare alla luce un degno successore di
Portal of I, capolavoro capace di travolgere l’ascoltatore con una ondata di idee, colori, emozioni. Anzi: la band australiana, se possibile, è riuscita ad affinare ulteriormente il proprio sound, conservandone l’esuberante mutevolezza ed asservendola ad un songwriting più maturo.
Più maturo ma non necessariamente più conciso, posto che le sei tracce che compongono il platter si sostanziano in tre brevi strumentali e tre
tours de force da 16, 10 e 12 minuti. Eppure, mai come in questa occasione la durata delle canzoni può trarre in inganno: la qualità e il coinvolgimento si assestano su livelli tali da tenere lo spettro della noia a debita distanza.
Altro che noia:
Citadel sublima il concetto stesso di avantgarde metal.
Ne rappresenta tutte le qualità più fulgide, schivandone al contempo i cronici difetti: è ambizioso ma non presuntuoso, complesso ma non astruso, eclettico ma non disomogeneo, ricco ma non opulento, magniloquente ma non pomposo... ok, la smetto, avrete colto il punto.
L’aspetto più sbalorditivo di questo album risiede nell’equidistanza: non richiede al fruitore di compiere scelte.
Cercate perizia strumentale?
Serviti: il livello esecutivo dei Nostri è letteralmente mostruoso.
Non v’interessa troppo la tecnica e cercate piuttosto sentimento?
Pronti: l’impatto emotivo di certi passaggi è da brividi lungo la schiena.
Da bravi amanti del prog adorate le partiture elaborate e gli arrangiamenti raffinati?
Nei solchi del dischetto rinverrete dosi industriali di entrambi.
Il prog non vi fa impazzire e preferite invece del bel, sano metal estremo?
Qui dentro ve n’è più di quanto crediate, e di altissimo livello.
Un mare magnum sonoro in perpetuo movimento, un flusso ininterrotto in cui irruenza e delicatezza si rincorrono a perdifiato, liberate dal giogo dello schema strofa-bridge-ritornello e graziate dalle ultraterrene incursioni del violino: questo, in estrema sintesi, il contenuto di
Citadel.
Non da meno si rivela il contenitore: splendido l’artwork di copertina; magistrale la produzione, in grado di valorizzare appieno il sound stratificato che contraddistingue i
Ne Obliviscaris e di far emergere dai flutti nuovi dettagli ad ogni ascolto (in cuffia è ancor meglio, fidatevi).
Ciò detto mi faccio da parte: non ho la minima intenzione di entrare nel dettaglio dei singoli pezzi, finirei per rovinare l’effetto sorpresa.
Mi limito a ribadire, per quel che conta: mio personale disco dell’anno.
Volete un ultimo pronostico?
Rimarrete stupefatti.