Londra è una città alla quale, per diversi motivi, sono molto legato.
L'idea di un concept album "dedicato", in un certo modo, alla capitale inglese e ai suoi umori era quindi per me molto affascinante. Il fatto poi che il concept fosse stato sviluppato dai
Voices, band sorta dalle ceneri degli
Akercocke, aumentava il mio interesse e faceva crescere le aspettative.
Alla fine
"London", secondo lavoro del gruppo, è qui.
E sono diversi giorni che gira nel mio lettore, senza uscirne ed inducendomi, ogni volta, a premere di nuovo il tasto play.
Cosa ci offre la band inglese?
Come detto un concept.
La storia tormentata del
"Vicarous Lover" e della amata
Megan, una storia narrata in 14 lunghi brani ai quali Londra fa da sfondo oscuro e malinconico ed offre lo spunto per il dipanarsi di un pregevolissimo
progressive death/black metal che è l'etichetta più plausibile per definire la musica dei nostri.
La parola "progressive" trova la sua spiegazione nelle composizioni che sono in costante divenire e che non offrono mai appigli "sicuri" ai quali appoggiarsi per farsene una idea precisa delle strutture.
"London" è, infatti, un disco schizofrenico, intricato e quasi jazzistico nel suo approccio, sebbene ci troviamo in ambiti lontani anni luce dal jazz vero e proprio, ed è un disco difficile da apprezzare senza ascoltarlo con profonda attenzione.
Immaginate un mix di
Dødheimsgard,
Akercocke e ultimi
Emperor per avere una idea del suono dei
Voices.
Considerate la presenza di soluzioni melodiche e malinconiche affiancate a devastanti momenti grind e letali accelerazioni black metal per avere una visone dei chiaroscuri qui presenti.
Immaginate la destrutturazione della forma canzone e il vastissimo range espressivo adoperato sia in fase strumentale che in fase vocale per avere una visione della complessita di questo album.
La vera sorpresa è che, nonostante una evidente poliedricità,
"London" è un album che scorre e che si lascia ascoltare, fermo restando tutto quello che ho detto prima, e fermo restando che se si è ascoltatori superficiali sarebbe meglio rivolgersi altrove.
Aggiungo poi una ulteriore considerazione: una produzione perfetta ed una indiscutibile abilità tecnica dei musicisti contribuiscono, senza dubbio, alla riuscita di un lavoro che non è azzardato definire "avantgarde" anche se, va specificato, siamo in territori
estremi, come la durezza delle chitarre e la bieca distruttività di certe soluzioni sono a testimoniare.
Senza ombra di dubbio uno dei dischi più intelligenti che io abbia ascoltato di recente.
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