Parlare del nuovo album dei
Cannibal Corpse non è mai una cosa semplice. Tredici album in studio pubblicati in una carriera che ha superato l’invidiabile boa dei venticinque anni di attività, una band capace di imprimere una impronta indelebile non solo nella storia della musica estrema. Un gruppo, un’icona. Eppure, è un dato di fatto, che la nuova creatura della band di Buffalo non crei più la stessa attesa di una volta. Sarà che i Cannibal Corpse nel corso degli anni sono diventati “vittime” della loro stessa grandezza e che si sa già che partoriranno il “solito” capolavoro. Vuoi che ormai troppe band hanno seguito (con alterni risultati) le loro orme imitandone lo stile inflazionando gli ascolti, ma intorno a “A skeletal domain” non si è sentito quella effervescenza di un tempo.
Ad un primo veloce ascolto si nota che Mark Lewis, il produttore scelto al posto di Erik Rutan (il quale, è bene ricordare, aveva lavorato sui precedenti tre album in studio dei CC) ha leggermente “tagliato” il suono del basso di Alex Webster. Non siamo all’appiattimento totale (leggasi scempio) sentito in “Evisceration plague”, ma conoscendo il ruolo portante del basso nell’economia del sound dei Cannibal Corpse, un certo stupore mi sembra un atto dovuto.
Per il resto il già produttore dei The Dahlia Murder ha svolto il suo compito senza infamia e senza lode (i tempi di Neil Kernon sono lontani) dando ai nostri un sound pulito ed equilibrato.
Le dodici tracce di “A skeletal domain” sono di alto livello, ma non esiste LA canzone simbolo che permette all’ascoltatore di ricordare a cascata anche le altre. Personalmente penso ancora che l’uscita dalla band di Jack Owen successiva alla pubblicazione di “The wretched spawn” abbia tolto qualcosa al songwriting della band di Buffalo, nello specifico quei riff monolitici, taglienti e cadenzati utilizzati in brani come “Decency defied” o “The spine splitter”.
Puntualizzato questo, gli ascolti ripetuti consentono di apprezzare fino in fondo ottime canzoni quali l’opener “High velocity impact spatter”, “Sadistic embodiment” (scelta come singolo apripista dalla Metal Blade), la titletrack, “Funeral cremation”, “Icepick lobotomy” (N.d.r.: questo brano ha un riffing che sembra uscito da un album dei Monstrosity del periodo di “Spiritual apocalypse”!!!!) e “Asphyxiate to resuscitate”.
I Cannibal Corpse dimostrano, se mai ce ne fosse bisogno, di essere una macchina musicale perfettamente oliata. Incredibilmente continuano a rimanere alieni dal susseguirsi di alti e bassi, fisiologici riscontrati nella carriera di qualsiasi altra band (mettete un nome a caso), una sicurezza per i propri risparmi. E di questi tempi non mi sembra una cosa da poco no?
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